Enrico rava: il jazz fra ragione e istinto

Enrico Rava : il jazz fra Ragione e Istinto.

Il bravo, l’eclettico, l’irrequieto, il sognatore, il virtuoso, l’eccentrico, il sensibile, l’istintivo, l’affabile – non affabile, il passionale, lo scontroso, l’urbano, il raffinato, il premuroso, lo stilista antimanierista, lo sfrontato, il fine, il triestino mitteleuropeo, il torinese grintoso: chi tra i jazzofili non lo considera un caposcuola?

 

Enrico Rava è un artista che ama “tutto” il jazz. Un artista, innanzitutto, come già evidente dalle sue prime importanti collaborazioni negli anni 60 con Gato Barbieri (“Una bella bella grinta”, C.A.M. 1965, colonna sonora del film di Giuliano Montalto) e Steve Lacy (“The forest and the Zoo”, ESP 1967, uno degli album fondamentali del Free), con Carla Bley (la pietra miliare “Escalator over the hill”, JCOA  1972, frutto della cooperazione fra la pianista, il poeta statunitense Paul Haines e la Jazz Composer's Orchestra), con Don Cherry, Mal Waldron, Lee Konitz, Pat Metheny, Michel Petrucciani, John Abercrombie, Paul Motian, Joe Lovano, Roswell Rudd e l’indimenticabile Massimo Urbani . Rava il mediatore culturale, acuto traspositore di Michael Jackson in Blue Notes (qualcuno disse “per gioco”, per noi per sottile intuizione e amore per la Black Music), lettore originale ed esegeta della Cornice rivoluzionaria americana di Malcom X e John Coltrane, dei segni metalinguistici di Miles Davis e dell’improvvisazione radicale di Archie Shepp. Rava poeta della transavanguardia jazzistica e delle libertà filologica ECM (fra i tanti: “Quartet” del 1978, “Easy living” del 2004, “On The Dance Floor” del 2012), trovatore incurante delle convenzioni, come l’amato Chet Baker soave, leggero e vibrante nell’intimismo delle ballads, per noi che sentiamo il bisogno della sua eccellente tecnica strumentale mai manierata e mai enfatica, calda e avvolgente nell’intenzione comunicativa di una musica “semplice” e autobiografica, denotata – come l’uomo – da rapide ascese al registro acuto e dall’intensa espressività dei tempi medi, perfettamente a misura per chi ha viaggiato e continua a viaggiare nel “dovunque si vada”, siano strade newyorkesi o boulevards parigini, ponti trasteverini, vicoli torinesi o piazze londinesi.

In tempi recenti, il suo RAVA TRIBE (insieme a Gianluca Petrella, Giovanni Guidi, Gabriele Evangelista e Fabrizio Sferra) ha riscosso giusti consensi così come  il quartetto di recentissima costituzione con Francesco Diodati alla chitarra, Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria (“Wild dance”, ECM 2015, con  Gianluca Petrella al trombone) e la sua eccellente performance del 15 novembre 2016 all’Auditorium Parco della Musica in Roma con Guidi ed il DJ britannico Mattew Herbert, sempre al passo con l’evolversi dei linguaggi musicali fra Tecno, Musica Concreta e Sound Design.

C’è un Luogo dell’anima ove hanno nome le Note Necessarie di Enrico Rava, come nelle vorticose Fasi della Vita e nel Logos del recente film-documentario di Monica Affatato, nell’assertiva fotografia di Debora Vrizzi, nel discorsivo montaggio di Dario Nepote e nella corporea cura del suono di Roberta D’Angelo (“Enrico Rava. Note necessarie”. Titolo perfetto. Prodotto da Pier Milanese per Cinefonie, Luca Buelli per Pierrot e la Rosa, Con il sostegno di Piemonte Doc Film Fund). 

L’importante è suonare se stessi, senza segreti, senza idoli, senza cancellature.  

Meglio di ogni ipotesi è parlarne con lui; sintetico e intuivo quando ne ha voglia, flemmatico e mai smanioso circa la propria visibilità, da antidivo quale da sempre vive e suona. Dall’intervista che mi concede prendo esattamente ciò che ha intenzione di comunicare, nel rispetto del suo Estro del Momento. Sic et Simpliciter.

d. Iniziando da non molto tempo fa, ora, all’apice della sua creatività artistica, quale significato assume una realizzazione come “Note necessarie”, il film documentario di Monica Affatato, un viaggio nella sua carriera per la quale hanno voluto offrire testimonianza tanti amici e comprimari?

r. E' un bellissimo regalo. L'ho visto un po' come un film il cui protagonista è un matto che non si stanca mai di viaggiare. Chiaramente certi complimenti fanno bene alla mia autostima ma mi imbarazzano anche un po'.

d. E’ mia convinzione che senza il suo contributo il jazz italiano non sarebbe stato lo stesso; quali incontri, da Steve Lacy a Gato Barbieri, Lee Konitz, Paul Motian, Joe Lovano, Roswell Rudd, hanno dato un impulso decisivo al suo modo d’interpretare, di “leggere” le Blue Notes in modo mai statico intellettualmente, sempre aperto a ciò che di nuovo c’era da sperimentare?

r. Tutti gli incontri ci arricchiscono. Da quelli con i più grandi a quelli con i più umili. Direi comunque che Roswell Rudd ha avuto un'influenza fortissima sul mio modo di ascoltare la musica e mi ha fatto capire che il blues è universale e lo si trova in tutte le musiche del mondo.

d. Lei è un “curioso” in movimento, un ricercatore, un jazzista che da sempre apre il senso filologico e storico del concetto di Jazz a significati e linguaggi ininterrottamente più ampi. E’ sempre indispensabile per un artista scoprire mondi nuovi piuttosto che dar conto della Storia o, meglio, delle Storie passate?

r. Penso che sia indispensabile che ciascuno trovi la propria via, qualunque essa sia.

d. La sua performance su Michael Jackson (“Rava on the Dance Floor” ECM 2011) o l’album “ Wild Dance” (ECM 2015) o la sua attuale collaborazione con Matthew Herbert e Giovanni Guidi, ad esempio, lasciano pensare che abbia trovato la quadratura del cerchio, la Soluzione per un Sound sempre più descritto in Forme Contemporanee. In questa sua Forma l’Elettronica è Energia necessaria e indispensabile…perché?

r. Francamente non ho trovato la soluzione a niente. Sto solo cercando di fare le cose che mi piacciono (o che mi interessano) senza autocensure.

d. Anche come docente ha dato notevole apporto al jazz italiano: quanto ha contato la sua attività d’insegnamento nell’evoluzione del suo pensiero musicale?

r. Sono sempre stato uno studente pessimo, indisciplinato e irrazionale. E temo di essere un docente (che in realtà non sono) altrettanto pessimo. Nei miei corsi a Siena cerco di comunicare la "necessità di suonare", ovvero l'identificazione con quello che si sta suonando, come un grande attore che si identifichi col personaggio che interpreta. Tutto il resto, tipo la teoria, la tecnica, lo lascio ai veri docenti.

d. Recentemente ha affermato di essere appassionato lettore di Marcel Proust, Italo Svevo e Curzio Malaparte. “Ricerca del tempo perduto”, monologo interiore, una visione disincantata del mondo d’oggi: questa la sintesi culturale ultima delle sue scelte?

r. Combinazione proprio ieri ho intrapreso per l'ennesima volta (!!!!) la lettura della Recherche (sono già alla metà delle parti di Swann). Diciamo che nella mia musica ci sono molti rimandi, collegamenti di frammenti di memoria, digressioni che io riconosco come proustiani.

d. Se è vero che il suo Jazz è essenzialmente Emozione, oggi cosa la emoziona davvero e cosa non la emoziona affatto?

r. Mi emoziona ancora anche una sola nota di Miles o di Monk o di Armstrong o di Bix. O mi emozionano i Beatles o Michael Jackson. Mi emoziona sempre tantissimo Joao [Gilberto]. O un quadro di Vermeer, Giotto, Piero della Francesca. O un racconto di Carver. O il pianto di un bambino. Non mi emoziona certa musica molto cerebrale e poco spontanea che ci arriva da New York con troppa frequenza.

Fabrizio Ciccarelli

  

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