fabrizio de andré- non al denaro, non all'amore né al cielo (stefano borioni)

Fabrizio De André, Non al denaro, non all’amore né al cielo

 

Un Aldilà (ed un Mondo) “diverso”

È il 1971 quando Fabrizio De André, ispiratosi ad una raccolta di poesie letta da ragazzo, realizza un concept album il cui filo conduttore è la storia di alcune anime di un paesino del Midwest che, una dopo l'altra, si raccontano all'ascoltatore. Il libro, scritto nel 1915 da Edgar Lee Masters, è l’Antologia di Spoon River ed il disco che De André andò a comporre, dopo un lungo lavoro di rielaborazione, prese il nome di Non al denaro, non all'amore né al cielo.

Costante di ogni canzone sarà l'assoluta sincerità dei protagonisti che, ormai morti e non più invischiati in quella giostra sociale che divora la vita di molti, non han più niente da nascondere e ci raccontano le proprie vite senza remore né vergogna.
Come lo stesso De André racconta a Fernanda Pivano, traduttrice della prima edizione italiana dell'opera, i temi fondamentali di questo lavoro sono due: il rancore e la scienza prestata al Potere. Rendendoci silenziosi spettatori della confessioni di queste anime (spesso non salve) l'autore ci offre l'ampia panoramica di un mondo in cui l'invidia, alla base dei conflitti sociali, è spesso strumento di una società le cui radici affondano nella grettezza e nell'ignoranza. Un mondo che definisce “diverso” chiunque non si uniformi a quei canoni (estetici, comportamentali, economici, religiosi) che la società stessa definisce.
Al tempo stesso, lontano da qualunque posizione di gratuito positivismo, il cantautore evidenzia tutti i limiti di una scienza il cui fine ultimo dovrebbe essere il bene delle persone ma che, irretita da logiche di profitto, finisce per essere l'ennesima freccia nella faretra del Potere.

La Collina

La prima traccia di questo album, di fatto un proemio, si fonda su una serie di angoscianti domande riguardo le sorti di alcuni abitanti di Spoon River la cui morte è brevemente accennata poche righe più avanti. Gli spiriti, uno dopo l'altro, ci corrono davanti mentre essenziali pennellate delineano le loro storie amare. Il minatore “Herman bruciato in miniera”, Tom “che uscì già morto di galera”, “Maggie uccisa in un bordello dalle carezze di un animale” o Edith “consumata da uno strano male” di cui il mondo non si disturba neanche ad indicare il nome. Dove sono? La domanda è la stessa ed anche la risposta: “dormono sulla collina”.
Come contraltare di questa povera umanità si defila, solo alla fine, il profilo di un uomo la cui storia tornerà nell'ultimo brano e che, già da qui, appare antitetico rispetto agli altri. È Jones, il suonatore di flauto.
Anche lui è morto, ma non dorme dimenticato in collina: il suo ricordo ancora riecheggia a Spoon River, nei ricordi dei vivi lui è vivo, e lo è per quello che più amava fare.

Un matto


ll tema di questo brano – in cui il protagonista racconta di un paese che ha come principale divertimento quello di schernirlo – è legato a come la società dei cosiddetti “normali” possa annichilire chi ritiene diverso.
S
e lo scorrere del tempo è un'invenzione dell'Io, utile a vivere in modo ordinato e funzionale, quali sono le conseguenze dell'essere stati traumatizzati da una vita di derisioni? Probabilmente che quel trauma irrisolto accompagnerà la vittima per tutta la vita e, in questo caso, per tutta la morte. Non a caso la prima parola che l'anima pronuncia non è “io” ma “tu”, ed egli sembra venirci incontro prendendoci per il bavero: “Tu prova ad avere un mondo nel cuore/ e non riesci ad esprimerlo con le parole”. Scopriamo che quello che il feroce paese ha classificato come matto, era un uomo sensibile ma incapace di comunicare che - proprio nel tentativo di sanare il proprio deficit espressivo - finisce per impazzire. La triste vita del protagonista termina difatti in un manicomio, dopo l'assurdo tentativo d'imparare a memoria “l'intera enciclopedia” per impressionare chi si era preso gioco di lui. Non c'è Nemesi, non c'è Catarsi, persino ora che lo spirito può esprimersi con parole forbite e concetti complessi, è condannato a sentire le risate di chi, passando davanti alla sua tomba, continua a bisbigliare sarcastiche cattiverie.

Il matto è diventato tale non solo per colpa del mondo, ma perché ha contribuito lui stesso a chiudere a chiave la gabbia in cui la mediocrità umana l'ha rinchiuso.

Un giudice

Il rancore continua ad essere il filo conduttore, ma quello che nel brano precedente aveva distrutto una vita qui diventa lo strumento della vendetta di un uomo alto un metro e mezzo, schernito da sempre, che ci racconta con freddezza le tappe della sua emblematica “ascesa” sociale.
Da garzone di bottega trascorre interminabilinotti insonni, vegliate al lume del rancorea preparare gli esami di legge fino a diventare giudice, “arbitro in terra del bene e del male”. La sete di vendetta diventa però una droga: mandare a morte i paesani che lo avevano deriso, e che ora lo guardano terrorizzati, diventa “un piacere” crudele e personalissimo che niente ha a che fare col concetto di giustizia. Anche il giudice è vittima della società in cerca di riscatto sociale, ma il circolo vizioso della vendetta è una spirale senza vincitori e conduce sempre di più verso la bassezza morale.

Un blasfemo

Secondo quest'anima l'umanità è vittima di un Dio invidioso che voleva negare ad Adamo ed Eva il dono della conoscenza, condannando l'uomo a vivere “una vita da scemo” nel giardino incantato. L'idea che lo porterà ad essere picchiato a morte da due “guardie bigotte” è quindi che Dio abbia punito l'uomo per aver osato Conoscere. E' lo stesso De André ad affermare che quest'anima siaun esegeta dell’invidia e, per salirne alle origini, la va a cercare in Dio.

Nonostante la sua triste sorte il Blasfemo non è soltanto una vittima: nel decidere d'indirizzare la sua ribellione verso un concetto metafisico in un mondo in cui è l'uomo a rappresentare la massima espressione dell'ingiustizia, sbaglia obiettivo. L'amara considerazione che ne consegue è che il carceriere della nostra società non è Dio, ma l'uomo stesso che se ne serve per imporre il Potere.
Se c'è una mela proibita è sulla Terra e, ad oggi, nessuno l'ha ancora rubata.

Un malato di cuore

Per chiudere il primo tema, quello del rancore, De André utilizza la storia di un uomo che ha vissuto la propria vita da spettatore. Da ragazzino ad osservare gli altri bambini giocare, da adulto a riflettere sul tempo buttato a farsi “narrare la vita dagli occhi”.
Proprio lui che, più di ogni altro, potrebbe essere invidioso del prossimo, vince l'invidia attraverso l'amore. Pur consapevole che il suo fragile cuore non avrebbe retto alla passione - lui che non poteva nemmeno bere una birra tutta d'un fiato - si abbandona all'amore con la donna che ama ed il suo cuore, non abituato a tale pathos, muore letteralmente di felicità (“ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo/ e il mio cuore le restò sulle labbra”).
Il Malato di Cuore non rincorre i cosiddetti “normali”, sceglie di amare, sceglie di vivere e lascia che quella scelta - come direbbe Bukowski – lo uccida.

Un medico

La morte del protagonista di questo brano è doppia: prima del suo corpo è il suo idealismo a morire. Divenuto medico per il sogno infantile di guarire i “ciliegi malati”, questo spirito prova a curare gratuitamente ogni paziente. Ed è così che il dottore dal cuore d'oro si ammala dello stesso male dei suoi pazienti (“ciliegi malati ” non solo d'inverno, come quelli che vedeva da bambino, ma “in ogni stagione ”): la povertà, una povertà che gli fa perdere ogni considerazione sociale fino al punto che, proprio lui che la scienza voleva “regalarla alla gente”, finisce per diventare un truffatore e, per questo, condannato “a sfogliare i tramonti in prigione”.

Un chimico

Se il Malato di Cuore era la rappresentazione dell'uomo che con l'amore vince sul mondo, il chimico è il suo contraltare. L'anima si dedica alla scienza in antitesi razionale contro ogni forma d'innamoramento, visto come un pericoloso azzardo.
Non conscio di una vita sprecata, lo spirito continua a dissertare su “fuochi fatui” e composizioni chimiche, intrappolato in quella scienza che dovrebbe servire all'uomo ma che, di nuovo, lo allontana e lo uccide.
Il chimico muore in seguito ad un esperimento sbagliato “come quegli idioti che muoion d'amore”, senza averlo però mai sperimentato.

Un ottico

A differenza di tutte le altre anime, l'Ottico non sembra neanche consapevole di essere uno spirito e, come se fosse ancora nel suo negozio, si rivolge a clienti immaginari cui sottoporre occhiali che non servono a vedere meglio il mondo (come poteva essere la lente di “Bobo Merenda” nella critica sociale di Enzo Jannacci), ma a fuggire dalla realtà.
A fronte di un mondo ostile e duro che l'ottico sembra conoscere bene, la sua sconfitta è legata al non aver neanche provato a migliorare la società, ma ad essersi limitato a spacciare illusioni che lo hanno confinato in un delirio psicotico irreversibile.

Il suonatore Jones

La Musica – per questo alter ego dello stesso De André – non è una fuga dalla realtà, ma una scelta. La scelta consapevolmente anarchica ed artistica di vivere oltre il “filo spinato” che difende non solo ogni bene materiale, ma ogni forma di potere ed amore borghese. Jones non si estranea dalla vita, anzi la ama così tanto che con il suo flauto sfiora il concetto più importante per Faber: la Libertà. Quella libertà che dorme nella società inaridita ma che lui - con la sua musica – riesce a risvegliare.

La vita di Jones termina come quella di tutti gli altri, ma la morte lo trova vivo, libero, mentre ride di una vita piena di ricordi senza “nemmeno un rimpianto”.
Non è quello che tutti vorremmo?

Stefano Borioni

NDR:

L'Antologia di Spoon River (Spoon River Anthology) è una raccolta di poesie che il poeta statunitense Edgar Lee Masters pubblicò tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di Saint Louis.( Einaudi, 1943, traduzione di Fernanda Pivano; ora nella collana Super ET, Einaudi 2014).

Fabrizio De André, Non al denaro non all'amore né al cielo, Produttori Associati 1971.

Per i testi integrali dell’album si rimanda a

https://genius.com/albums/Fabrizio-de-andre/Non-al-denaro-non-all-amore-ne-al-cielo

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