I filosofi e la musica: Jean Luc Nancy

I suoni del Reich 

Non abbiamo mai nascosto che dell’arte possa farsi un uso ideologico, ma abbiamo sempre aggiunto che non si possa giudicare, se non facendole un torto immenso, tutta l’arte come espressione ideologica.

Quando questo accade, tuttavia, le conseguenze possono essere veramente temibili e terribili.

 

Karl Popper si è chiesto cosa sarebbe stato di Hitler se avesse avuto a sua disposizione la televisione con il suo immenso potere propagandistico e manipolatore. Hitler non aveva, per nostra fortuna, la televisione, ma aveva, per nostra sfortuna, la musica. E che musica! Che tradizione! Che nomi! Che forza di espressione e di vitalità!

La cosa ha interessato il filosofo francese Jean-Luc Nancy per il quale il nazismo avrebbe piegato la musica, per sua natura inafferrabile, allusiva e quindi polisemantica, alla legge del significato unico, costringendola a rappresentare forzosamente concetti  “quali, ad esempio, popolo, comunità, destino missione”.

Di questo processo di “imposizione significante e sovra-significante” della musica il nazismo ha fatto una potente arma di “captazione, di  mobilitazione e di esaltazione”.

Se questo processo è iniziato prima del ventesimo secolo e il nazismo lo ha solo ereditato e rafforzato, qui interessa relativamente. Interessa piuttosto la conclusione di Nancy: “ciò che viene annullato, soffocato, nella musica è esattamente ciò che la distingue e che figurava anche al cuore dell’interpretazione che chiamerò “romantica”: ovverosia, un’insormontabile e necessaria  - anche desiderabile -  “distanza” tra il suono e il senso, una distanza senza la quale la sonorità cessa di essere ciò che è” (Musica e Reich in “Prendere la parola”, Moretti&Vitali, 2013, pp.204-212,).

Per liberare gli esseri umani dalla propaganda bisognerebbe liberare i significanti dal propagare: dare libertà, apertura, ampiezza, elasticità, prospettiva al significante; rinunciare al super-significante a favore dell’oltre-significante allo stesso modo in cui il super-uomo, nella cultura del ventesimo secolo, avrebbe dovuto lasciar spazio all’oltre-uomo.

Stefano Cazzato