Cazzato, Moscati-Maestri del nostro tempo. di Giuseppe Cappello

Stefano Cazzato e Giuseppe Moscati, Maestri del nostro tempo, Cittadella ed. 2007

"Il Novecento filosofico, caleidoscopico e trasparente", recensione di Giuseppe Cappello

 

 

Maestri del nostro tempo, libro in cui si organizza e si compendia una profonda esperienza di lettura e di scrittura sul Novecento che Stefano Cazzato e Giuseppe Moscati hanno condotto in un’omonima rubrica filosofica sulle pagine della prestigiosa rivista «Rocca», è un’opera di grande conoscenza e generosità. La generosità di chi, attraverso la conoscenza, si è preso la briga ma anche il piacere di andare a leggere l’articolata vicenda della filosofia del Novecento per tirarne le fila più intime e offrire al lettore uno sguardo in cui la costellazione concettuale di quaranta voci più o meno note trova il filo di luce che ne disegna il suo logos. Un logos che è appunto articolato, con le sue esplicazioni fra l’ontologia e la morale, la filosofia politica e la sociologia, la psicologia e l’estetica, la semantica e la retorica, ma che lungo il corso delle pagine di questo lavoro fa proprio di questa sua articolazione la chiave di lettura unitaria. Un’articolazione che trova, nel libro, la sua plastica raffigurazione e, insieme, l’intelligente organizzazione in una serie di ‘aree tematiche’ nel segno delle quali si dispiega il discorso a quattro mani dei due autori. La prima area tematica, ‘Verità e linguaggio’, a cura di Stefano Cazzato, ci introduce alla lettura del Novecento nella prospettiva di quella che sembra ormai poter essere indicata come la cifra filosofica del secolo: la risoluzione della realtà o, meglio, dell’essere nel linguaggio. Un linguaggio plurale, in cui, ci ricorda Cazzato nella lettura di Jakobson, svanisce ogni forma di proprietà privata e tutto viene socializzato; un linguaggio in cui, come emerge dalla lettura e dalla scrittura del nostro autore su Lyotard, la dimensione centrifuga del logos trova la sua universalità proprio nella decantazione locale. Un linguaggio, diremmo oggi con uno dei suoi stessi termini più avanzati, glocale. Non solo in ordine alla geografia più propriamente territoriale ma anche e soprattutto rispetto alla geografia  caleidoscopica del logos stesso. Un logos, come sottolinea Cazzato nell’incedere del suo primo passo, che non è  solo dialogo o, meglio, è dialogo (lontano dalla mellifluità dell’uso e dell’abuso corrente del termine) in quanto scontro e agone  di ogni singola esperienza personale e forma espressiva. Tutto scende in gioco nel Novecento. Qui prende allora la parola, con l’apertura della seconda area tematica ‘Dialogo e alterità’,  Giuseppe Moscati che  esplora i modi in cui, in questo agone della parola, l’alterità si costituisce come relazione e risolve nel fatale ‘noi’ dell’etica. Un’etica, come ci lasciano intendere le pagine dell’autore su Buber,  che è appunto la destinazione fatale dell’agone retorico stesso. Il ‘tu’ dell’io è innanzitutto la prima e originaria denuncia della finitezza e dell’incompletezza dell’io; anche quando esso lotti per affermare se stesso nell’agone retorico. Anche quando l’io è già un ‘noi’ nell’identità dell’ebraismo di Simone Weil; un’ identità il cui unico atto di saggezza è quello di «rimanere sulla soglia». Una saggezza che è anche saggezza del linguaggio, e di qui ritorniamo alla penna di Cazzato che si occupa di Blumberg, quando nell’elemento della metafora la filosofia del Novecento trova la modulazione espressiva tra vita e riflessione. La prima non si abbandona mai a se stessa in una intuizione cieca né rifluisce completamente nel logos in concetto vuoto. È, ancora, la saggezza stessa di questo libro, in cui le penne dei due autori si passano continuamente e intelligentemente il testimone attraverso il fluire delle sette aree tematiche che si susseguono; una saggezza che non abbandona mai il Novecento della filosofia al nichilismo dell’interpretazione né tantomeno indulge verso soluzioni ermeneutiche totalizzanti. Un Novecento, insomma, indagato a fondo nella sua vitalità filosofica e che, in virtù di questa stessa lettura ‘dal basso’, trova la lingua e il logos in cui, come direbbe Hegel, parla la «cosa stessa». Parla attraverso le sapienti penne maieutiche di Stefano Cazzato e Giuseppe Moscati, nella dodecafonia corale che, attraverso quaranta voci dei maestri del nostro tempo, ci dicono della decostruzione di un secolo venerando e terribile ma per cui valgono, dopo la lettura di questo libro, le parole di Leibniz secondo cui pur supponendo che «qualcuno tracci sulla carta una quantità di punti: è possibile trovare una line geometrica la cui nozione sia costante e uniforme secondo una regola determinata». L’illusione della decostruzione, insomma- diventata un adagio e anche un indugio alla moda, che non risparmia cultori più o meno noti e probabili della filosofia- grazie all’opera di questi nostri due autori cede il passo a  quanto di veramente unico «venerando e terribile» c’è, al di là delle inquietudini più genuine e delle mode affettate, nella filosofia: «l’essere è e non può non essere».

Il dileguare centrifugo del Novecento, grazie alla penna sapiente dei due nostri autori, risolve, per chi voglia seguire la loro benemerita opera, in un quiete calma e trasparente.

Giuseppe Cappello

 

 

 

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