Rava, Guidi, Herbert- Auditorium Roma 15.11.2016

Enrico Rava, Giovanni  Guidi, Mattew Herbert

Auditorium Parco della Musica, Roma, 15.11.2016

Jazz? Tecno? Elettronica? Musica concreta? Sound design? Le etichette non aiutano più di tanto a spiegare la proposta del trio Rava/Guidi/Herbert; segno che quest’ultima è frutto di uno spirito innovatore e contemporaneo, al passo con le evoluzioni dei linguaggi musicali.

 

E’ un melting pot in cui i tre si divertono a mischiare le reciproche differenze musicali, personali, artistiche, ma anche anagrafiche: dai capelli bianchi di Enrico Rava al look giovanile di Giovanni Guidi, passando per la stempiatura da uomo nel pieno della maturità esibita da Mattew Herbert. Ed è forse proprio quest’ultima, quella generazionale, la chiave di lettura migliore per approcciarsi a tale evento: da un lato la voglia del decano Rava di essere, ancora una volta, artisticamente al passo con i tempi. Dall’altra la sana aspirazione del giovane emergente Guidi al confronto/apprendistato con due guru riconosciuti a livello internazionale. E al centro, anche del palcoscenico, c’è l’enigmatica figura del manipolatore di suoni dalle molteplici sfaccettature musicali, corrispondenti ad altrettanti nomi d’arte, ma che in tale contesto si presenta con il suo vero nome anagrafico: Mattew Herbert. E’ su di lui che si concentra la massima attenzione; è lui che ha il delicato compito di “umanizzare” il suono in uscita dai suoi apparati tecnologici, amalgamandolo con quello degli altri due nella forma dell’interplay jazzistico. Ed Herbert ci riesce, grazie alla felice intuizione di utilizzare i suoni prodotti dai suoi stessi compagni di palco: registrandoli e rielaborandoli in tempo reale, restituisce echi, impressioni, dilatazioni sonore su cui Rava e Guidi, ancora una volta, ricamano, costruiscono, cesellano. Altre volte a fuoriuscire dalle sue manipolazioni sono invece veri e propri pattern ritmici, anche dispari o volutamente “off beat”: sono questi i momenti in cui la sala Petrassi dell’Auditorium sembra trasformarsi in uno squatter club di Berlino, uno di quei posti dove si sperimentano le sonorità che saranno di moda di lì a breve. Il risultato è, a tratti, molto convincente, e il gioco di alternare momenti forti dal punto di vista dinamico ad altri di maggiore dilatazione armonica prosegue fino alla fine, bellissima, del concerto, con il ritorno a quello che era stato il primo suono a darne l’inizio, ossia il soffio di Rava nel suo flicorno.

Fra gli “uomini macchina” di tendenza, i guru planetari del suono, gli “audio head” di successo, Mattew Herbert è probabilmente il più jazzista di tutti; un improvvisatore in grado di calarsi efficacemente nel gioco dell’interplay tipico della musica afro americana. La sua è un’elettronica calda, volutamente incline al dialogo con le sonorità naturali degli strumenti tradizionali, perché concepita e sviluppata con l’intenzione di essere quanto più umana possibile; basti pensare a Bodily Functions, album del 2001 realizzato partendo dalla registrazione e successiva manipolazione di suoni dell’uomo: pelle, capelli, addirittura organi interni.

Enrico Rava conferma pienamente la prestigiosa reputazione artistica consolidata nell’arco del suo meraviglioso percorso, e sembra incredibilmente a suo agio nel distillare sapientemente note, pause, sussurri, citazioni; come il Miles Davis metà anni 80 di Tutu, Rava si tuffa gioiosamente e senza timore alcuno nel confronto con sonorità nuove, molto distanti da quelle frequentate in precedenza.

Giovanni Guidi ce la mette tutta per onorare il difficile compito di stare al passo con i due, ma se il suo impeto giovanile a volte è efficace nel sostenere il discorso complessivo, in altre occasioni finisce per ostacolarlo; nei momenti in cui Herbert produce beat ipnotici e spigolosi, il pianismo di Guidi risulta eccessivamente presente e tumultuosamente percussivo: così, invece di accogliere ed abbracciare le asperità prodotte dalle macchine, finisce per aggiungerne altre, affollando uno spazio frequenziale già di per sé molto pieno. E’ probabile che tale postura stilistica sia stata concordata insieme: un tocco molto percussivo può in effetti essere funzionale ad una ri-manipolazione elettronica al fine di ottenere i beat di cui sopra. Tuttavia non riesco a evitare il confronto con un altro modo di intendere il dialogo fra pianoforte ed elettronica, quello sviscerato da Alva Noto e Ryuichi Sakamoto; un duo la cui proposta è sicuramente più “scritta” e dunque meno jazzistica, ma che è esemplare nel modo di miscelare le rigide spigolosità del teutonico con le umide armonizzazioni pianistiche del giapponese, dando vita a un sognante minimalismo contemporaneo. Ma si sa, imparare a lavorare di sottrazione, togliere invece di aggiungere, dare il giusto valore alle pause, è probabilmente la cosa più difficile, in ambito musicale così come in qualsiasi altro.

Antonio Catalano

Enrico Rava tromba - Giovanni Guidi piano - Matthew Herbert elettronica

 

 

 

 

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