don carlos.riflessioni su un evento (maggio musicale fiorentino 5.5.2017

DON CARLOS, RIFLESSIONI SU UN EVENTO. 

Opera di Firenze, 5 maggio 2017 

Per commemorare gli 80 del Maggio Musicale Fiorentino, si è scelto di puntare su un titolo di grandissimo richiamo: Verdi, e il Verdi forse più arduo, complesso e intenso in assoluto.

 

Inutile e impossibile riassumere sia pure all'essenziale il lavoro che gira intorno a questa monumentale opera, che assorbe il Maestro per 20 anni, tra la metà degli anni '60 e la metà degli anni '80 del 19° secolo. Versione a 5 atti integrale iniziale per Parigi (mai davvero realizzata al 100%), che è quella della Prova Generale del 1867: si sfiorano le 4 ore di sola musica, e ci si accosta ai giganti wagneriani di Tristano, Maestri Cantori, Crepuscolo degli dei e Parsifal. Quindi la versione di 5 atti scorciata di quasi 1 ora, che comunque è  uno spettacolo di oltre 4 ore. Ci sta la realizzazione di Abbado a Milano del '78 con regia di Luca Ronconi, che è una specie di via di mezzo, con alcune riaperture ma non tutte. E poi le versioni in 4 atti integrali non tagliate, molto diffuse, ma anche quelle di 4 atti tagliate e ridotte a meno di 2 ore e mezzo di musica, molto comuni tra i live degli anni 40/60.

Zubin Mehta fa la scelta più diffusa, come Von Karajan sia a Salisburgo nel '75 che in disco nel '78 o nel magnifico live di Vienna '79. 4 Atti integrali, rinunciando in tronco all'atto francese introduttivo e a molte altre scene.

La regia di Giancarlo del Monaco, ripresa in vari teatri,  si conferma tanto tradizionalmente accurata, e sostanzialmente valida dal punto di vista storico e di costume, quanto poco stimolante e creativa. Siamo al lato opposto di Ronconi. Là immagini provocatorie dure, spietate; qui tutto viene a confluire nel luogo comune, magari reso anche con larghi mezzi, certo però lasciando una sensazione di grandioso e svuotato al contempo.

Domanda; svuotato di cosa, visto che agli occhi si offre così tanto, e per certe cose anche ben realizzato? Prima parte della risposta: la Direzione. Mehta ha certamente affrontato molte volte questo colosso, e certo lo conosce bene, a grandi linee. Quando c'è da lanciare l'orchestra con fronti sonori grandiosi e possenti il risultato è ancora ottimo strumentalmente, e se vuole, fa anche valere una bella linea melodica anche nei passi più lirici. Ma un Don Carlos eseguito bene, molto bene in più momenti è sì e no mezzo risultato, forse pure meno. In questa opera il rapporto con la religione è portato a vertici tremendi di conflittualità, di violenza, di prevaricazione. Ogni protagonista è tragicamente solo.

Solo è Don Carlos, Aronica, tenore dalla voce generosa e con qualche buon accento, ma sideralmente lontano dalla nevrosi depressiva disperata di Bergonzi con Solti, solo per dirne uno.

Si intuisce anche molta buona volontà, ma in un ruolo come questo è poco.

Solo è Rodrigo, Marchese di Posa, il baritono Massimo Cavalletti, dotato di voce ricca e piena, quasi da bass-baritono, con begli accenti e una interpretazione abbastanza accurata, a cavallo tra la lealtà, i sentimenti di affetto e devozione e la inesorabile ragion di stato. Una prova certamente positiva.

Solo  di una solitudine cosmica leopardiana è Filippo 2°, il basso Dmitry Beloselskly, che comincia ad entrare nel personaggio dopo varie prove, ma con un approccio ancora un po' "esterno". Lo strumento vocale è di buona lega  ma, almeno per ora, non andiamo molto oltre  una degnissima e dignitosa routine (inutile ridestare spetti titanici come Pasero, Siepi, Ghiaurov).

Diversamente solo di una solitudine non meno disperata il Frate Domenicano  Grande Inquisitore, Eric Halfvarson, a pochi italiani noto, ma assiduo frequentatore wagneriano a Bayreuth, in Germania, come in Inghilterra e Stati Uniti. La scena va benissimo, il volto scavato e la fissità tragica; va meno bene la voce, asciutta e poco controllata, con una emissione decisamente discutibile. Ho detto che ha cantato molto Wagner, ma non ho detto che è un grande wagneriano.

Il grande cantante wagneriano non deve solo essere su tutto interprete, come troppo spesso è stato mal capito, ma deve reggere fiati e legati infiniti, avere non necessariamente voce torrenziale, ma ottima modulazione e intonazione. Vedi John Vickers (Siegmund '58 Bayreuth  e Parsifal '64 sempre Bayreuth), come, limitandoci ai tenori Sandor Konya (Lohengrin '58 Bayreuth e Parsifal alla Scala).

Poi ci sono le diverse solitudini del cosmo femminile.

La solitudine di Elisabetta, affrontata con esiti dignitosi ma poco avvincenti da Julianna Di Giacomo.  Certo, ai nomi di Maria Callas, Renata Tebaldi, Mirella Freni, questa cantante  avrebbe poco o nulla da oppore. E' nondimeno vero che, pur avendo avuto nel passato interpretazioni in vario grado supreme, viviamo nel presente, e nel presente, se è certamente vero che una seconda Callas non la troveremo mai e poi mai, nondimeno abbiamo l'obbligo morale, quantomeno di cercare e proporre quanto di "meglio", si riesce a reperire. Sta in piedi e si propone con una certa dignità. Tanto basta, ma la penuria di grandi voci verdiane maschili e femminili non  è piaga di oggi. Vedi il video del Don Carlo di Karajan a Salisburgo 1985 Sony e si veda una Fiamma Izzo D'Amico, arrivata a Karajan per canali oscuri e squallidi, spiaccicata sul palcoscenico come una bambola a manovella, emettere note di qualità variabile: una meteora...già 32 anni fa.

Solitudine tragica anche per la potentissima Principessa Eboli, avida di amore, e sempre costretta a raccattare e a vivere di "pezzi d'amore" o di amori assurdi. Ekaterina Gubanova fa il paio con Cavalletti come, secondo chi scrive buonissima Eboli, ben contrastata e ben cantata.

Il Potere e Dio. Un trono inumano e sanguinario, che si appoggia e trae sostentamento da una religione divenuta inumana e feroce. Ai vertici del potere con la connivenza della religione, Verdi ci offre una disperata dichiarazione di infelicità e solitudine.

Manzoni parla del Dio che atterra e suscita, che affanna e consola. Ma, con tutta la devota ammirazione di Verdi per il poeta, è proprio del musicista un rapporto sconsolato e iperscettico con la Fede: nella migliore e più rosea delle ipotesi Dio è un mistero abissale, lontanissimo dalla sfera umana (immaginate la peggiore!).

In chiusura due parole per il Coro e l'Orchestra: a un orecchio poco allenato si potrebbe dire ottime esecuzioni e prestazioni. Mi scuso dell'accanimento mentale, siamo lontani dal vero lessico verdiano. E' un’epoca che sbatte in faccia esibizioni e prestazioni, quando va da dio senti parlare di "emozioni". Io parlo di interpretazione e, conseguentemente, di commozione intima. Non è la stessa cosa,affatto.

Domenico Maria Morace. 

Direttore Zubin Mehta 

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino 

Maestro del Coro Lorenzo Fratini 

Don Carlo: Roberto Aronica; Elisabetta di Valois: Julianna Di Giacomo; Filippo II: Dmitry Beloselskiy; Rodrigo, marchese di Posa: Massimo Cavalletti; Principessa Eboli; Ekaterina Gubanova; Il Grande Inquisitore: Eric Halfvarson; Un frate: Oleg Tsybulko; Una voce dal cielo:Laura Giordano; Tebaldo: Simona Di Capua; Il Conte di Lerma: Enrico Cossutta; Un araldo reale:Saverio Fiore; Deputati fiamminghi: Tommaso Barea, Benjamin Cho, Qianming Dou, Min Kim,Chanyoung Lee, Dario Shikhmiri. 

Regia Giancarlo Del Monaco, Regista associata Sarah Schinasi 

Scene Carlo Centolavigna, Costumi Jesús Ruiz, Luci Wolfgang von Zoubek.

 

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