Tosca: prima alla Scala di Milano (7.12.2019)

Tosca di Giacomo Puccini: la Prima alla Scala di Milano (7.12.2019) 

 

Il dissidio tra volto e anima 

L’ Edizione di Tosca che ha inaugurato la Stagione 2019/2020 del Teatro alla Scala, pur riscuotendo a caldo consensi generosi e quasi entusiastici, merita una, sia pur non estesa, disamina. 

Diamo per scontato che si tratta di una ripresa “live”, dove la temperatura emotiva è più accesa e spontanea di un lavoro realizzato in studio: in tale ambito, lo studio, penso di poter serenamente sostenere che i nastri 1953 De Sabata-Callas-Di Stefano-Gobbi, 1962 Karajan-Price-Di Stefano- Taddei e anche 1990 Sinopoli-Freni-Domingo-Ramey, restano, nelle diversissime linee espressive, punti cardini assoluti (un gradino al di sotto il 1979 Karajan-Ricciarelli-Carreras-Raimondi o il 1972/73  Mehta-Price-Domingo-Milnes). 

Tra le riprese dal vivo, questa performance si colloca certamente molto in alto: abbiamo la direzione vigorosa e spesso nervosa e pulsante di Riccardo Chailly, un’ ottima prova corale e, detto a battuta semplice, tre voci consistenti e generose in termini di pura vocalità. Noto anche con piacere la presenza di due eccellenti caratteristi: il perfido e sfacciato Spoletta di Carlo Bosi e la bella e intensa voce dello Sciarrone di Giulio Mastrototaro, nelle poche battute da Puccini affidate a questo personaggio. 

Cominciamo dal tenore. Non sono affatto convinto che, come dice il presentatore Rai Di Bella, Pavarotti sia stato un Cavaradossi memorabile. Pace all’anima sua ma sia la Tosca Decca 1978 con Freni e Milnes diretta da Rescigno, come il “live” di Roma con la Kabaivanska e Oren, non mi convincono affatto: Cavaradossi è, come personaggio, l’antitesi di quello che è la persona Pavarotti, nel perfetto giudizio dato dalla Ricciarelli. Tanto il primo tutto cuore, generosità, passione e amore, quanto astuto e opportunista il tenore modenese, in questa parte, e in molte altre, di cui ha lasciato pallida traccia. 

Quindi, se si vuole parlare di interpretazione, io metto, senza dubbio alcuno, al primo posto Francesco Meli, eccellente tenore, appassionato, lirico, dolente. Un grande interprete e una bella voce, con echi alla Di Stefano e Carreras (beninteso negli anni migliori, prima della voracità autodistruttiva imposta dalle case discografiche). 

Luca Salsi certamente conosce bene il personaggio Scarpia, che è reso visivamente in maniera convincente. Gran bella voce di “baritonone”, piena e calda che (penso anche per una scelta di circostanza, tolti alcuni bei momenti colloquiali, pochi) spinge molto sull’esibizione fonica; mentre, un po’ come lo Jago dell’ Otello di Verdi, citato da Scarpia, il protagonista pucciniano dovrebbe proprio emergere dai “pp” e dai “ppp” ovvero dai pianissimi e, addirittura dagli “alitati”(dice Verdi che Jago dovrebbe quasi sempre cantare su questi registri, e Puccini non credo pensasse cose troppo diverse). Scarpia è la controfigura del Male; ed è noto che il Demonio è maestro sublime di Logica e Seduzione. I suoni (apparentemente) raffinati e insinuanti nascondono la belva, il mostro. Ma di questo si è sentito poco. Comunque, efficacissimo teatralmente, pur se alquanto grossier. 

Anna Netrebko, nella sua piena maturità anagrafica, esibisce un centro-grave veramente consistente, quasi insolente e sfacciato. Con la tessitura alta, diciamo così, le cose vanno bene 8 volte su 10: ci sta qualche suono stirato, e una “incriccatina” vocale dopo “Vissi d’arte”, fastidiosa, che si potrebbe anche provare a spiegare. Impostando il personaggio, come il baritono, su vocalità possente e tonante, in moltissime occasioni i ripieghi pucciniani, che pure in Tosca ci sono eccome, richiedono al solito espressivi ed efficaci “pianissimi” almeno! E qui è l’intoppo.    Rapidissimamente ri-tarare la voce a queste sonorità lievi e raccolte: cambiando rapidamente marcia, può andarti bene, ma ci scappa la “stirata” vocale, o la “incriccata”, a forza di pompare la voce e gonfiare le gote. 

Certo, vedi Salsi, teatralmente il personaggio sta in piedi, e pure bene: ma i colori interpretativi sono semplificati, spianati e ridotti. Lo stesso volto ha una gamma di espressività di fondo modesta. 

Ribadito il concetto che dal punto di vista puramente teatrale questa Tosca è molto ben diretta, mi resta da dire che la regia di Davide Livermore, tanto acclamata, in fondo parte da due idee ben mescolate, ma assai semplici: impianto tradizionale, ultradilatato, guardando ai veri luoghi romani. E, ad esso innescato un gioco di movimenti di palcoscenico e di personaggi, certo di effetto, ma anche disorientante e spaesante, anche per chi vede….Effetti speciali cinematografici….trapiantati nel Tempio della Lirica? Qualcuno (Milly Carlucci) ha detto perché no, come anche sì alla trovata di Istagram (bisogna essere sempre proiettati nel futuro, in maniera incosciente...forse è anche meglio...o forse fa figo!!!). 

Io dico semplicemente...perché inseguire le novità, quando i movimenti giusti, un accorto uso delle telecamere, una preparazione puntuale e precisa degli attori cantanti, basterebbero a raccontarci tante cose? 

I costumi di Gianluca Falaschi, giocano su cromie basiche e semplici, ma, sopra a tutto sono lunghi “pastrani”, oggi molto in voga in certe regie di tipo postmoderno. E siamo alle solite: sempre inventare di tutto per distrarre gli spettatori da ciò che sta sopra a tutto, la Musica. 

Concludo manifestando tutta la stima e la ammirazione per Raina Kabaivanska: sempre una presenza luminosa nel primo intervallo, sempre amabile e coinvolgente: ovviamente lo spettro di Maria Callas resta una presenza incancellabile (guardare su Youtube i nastri live del ‘58 a Parigi con Gobbi, ma più ancora, quel Secondo atto del ‘64 a Londra, sempre con Gobbi….quella espressione allucinata e inorridita, raggelata davanti al pugnale...Sublime, Sovrumana dimensione Tragica). 

Raina per prima, nella sua stupenda sincerità, ha  sempre riconosciuto la distanza  rispetto alla suprema artista greca; ma, e con questo mi congedo, guardatevi il nastro video del 1975 con Bartoletti-Kabaivanska-Domingo-Milnes, girato esattamente a Roma: e poi parliamo, seriamente, di Tosca, come incarnato interpretativo, e come “visione globale” di questa opera, direzione compresa. 

Domenico Maria Morace 

Francesco Meli, tenore (Mario Cavaradossi)

Anna Netrebko, soprano (Floria Tosca)

Luca Salsi, baritono (Scarpia)

Orchestra diretta da Riccardo Chailly

Regia di Davide Livermore,

Scene di Giò Forma

Costumi di Gianluca Falaschi

Luci di Antonio Castro

Coro e Voci Bianche dell'Accademia Scaligera diretti da Bruno Casoni.

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