dino betti van der noot-ou sont les notes d'antan?

Dino Betti Van Der Noot, Où Sont Les Notes D'Antan?, Stradivarius 2017

“Il Jazz dalla trascendenza all’immanenza”

Di origini liguri (Rapallo 1936) ma di adozione lombarda, Dino Betti Van Der Noot ha attraversato la musica del 900 con lo stesso entusiasmo che mostra nella realizzazione dei suoi ultimi lavori: Notes Are But Wind (Stradivarius 2015) e Où sont les notes d’antan? (Stradivarius 2017). Il pianista, compositore e arrangiatore italo-lussemburghese è un’icona della musica europea contemporanea che si pone a metà strada fra la scrittura colta del Vecchio Continente e gli stilemi di un Jazz dal corpus narrativo.

Cresciuto fra mura in cui la musica era di casa (la madre pianista di musica Classica), Dino Betti ha conosciuto, approfondito ed amato da sempre il meraviglioso intreccio fra  melodia, armonia e senso ritmico. L’impronta di Claude Debussy (1862 - 1918), Igor Stravinsky (1882 - 1971), Duke Ellington (1899 - 1974) e Charles Mingus (1922 - 1979) indubbiamente traspare dalla sua scrittura, apportando alla composizione un’imprevedibile sviluppo che non sfocia mai nel fine a se stesso.

Nel parlare con l’affabile Dino si coglie un linguaggio dotto, ricercato, ricco di cultura ed esperienze di vita che rendono palpabile la complessità della personale ed originale vena creativa. Dalla giovanile formazione presso le istituzioni musicali di Pavia e Milano all’approfondimento tecnico-strumentale negli States presso il Berklee College of Music di Boston, egli ha maturato una sensibilità a tutto tondo che traspare in una vena creativa che varia con saggezza in atmosfere tra passato e futuro.

Dai suoi esordi negli anni ’70 fino ai nostri giorni, Dino Betti propone un Jazz che, pur non rinnegando le radici afro, è pensato per ampi gruppi orchestrali, laddove l’originalità progettuale pervade ogni nuova produzione, scevra da condizionamenti stilistici e che, come in pochi altri casi, afferma nei titoli delle sue opere la Ratio che racchiude il senso delle stesse. Se la trascendenza è predominante nella musica Classica e l’immanenza è filosofia del Jazz, nella scrittura del nostro fine narratore ritroviamo insieme astrazione ed immediatezza, parti rigorosamente scritte e momenti di pura libertà individuale; una libertà travolgente, istintiva, mai debordante, che s’immerge in una scrittura illuminata che non diviene mai mero libero arbitrio, denotata da una tessitura formale che conduce per mano l’orchestra verso un’espressione d’assieme assolutamente partecipativa.

Negli anni 80 i veri appassionati di Jazz e la critica specializzata del nostro Bel Paese scoprono ciò che oltreconfine era già molto apprezzato e presente ai primi posti delle classifiche di settore. Di straordinaria bellezza un poker di produzioni: Here Comes Springtime (Soul Note 1986), They Cannot Know (Soul Note 1987), A Chance for A Dance (Innowo 1988), Space Blossoms (Innowo 1989). In questi dischi troviamo a fianco del compositore, fra gli altri, Andrea Dulbecco, Ares Tavolazzi, Bill Evans, Bob Cunningham, Danny Gottlieb, David Friedman, Donald Harrison, Famoudou Don Moye, Franco Ambrosetti, Giancarlo Schiaffini, Gianluigi Trovesi, John Taylor, Jonathan Scully, Joyce Yuille, Luis Agudo, Paul Bley, Paul Motian, Steve Swallow.

Poi, dal 1989 al 2003, un black out, la riflessione, il meditare su quanto scritto e quanto ancora da dire, per ritornare con l’album Ithaca/Ithaki (Soul Note 2005) che risente ancora del torpore creativo del lungo periodo di assenza dal mondo discografico. La vena si è esaurita, il verbo innovativo e l’entusiasmo della conduzione hanno conosciuto la parola fine? Niente affatto! Dino Betti Van Der Noot ritorna alla grande calando un nuovo poker d’assi per la Sam Production: The Humming Cloud (2007), God Save the Earth (2009), September's New Moon (2011) e The Stuff Dreams Are Made On (2013). Ancora una volta alla testa della sua Orchestra, che lo asseconda con la giustezza di sempre e lo accompagna in modo quasi maniacale nel biennio 2015/2017 nelle due produzioni  ad inizio citate.

La prima, Notes Are But Wind, è un lavoro articolato in cinque composizioni, di cui "Memories from a silent nebula" e "Midwinter Sunshine" (tratte da They Cannot Know) si ammantano di una nuova rilettura densa di energia positiva. Il navigato maestro realizza, da par suo, il consueto feedback con i venti solisti coinvolti, aggiungendo alle due del 1987 tre composizioni originali in grado di esaltare le personalità espressive di ciascuno. L’attento ascolto dell’album immerge nel pensiero shakespeariano del “Words are but wind” (così nella “Commedia degli errori”), in un percorso emozionale dove la libera improvvisazione dei singoli si fonde in modo simbiotico con la scrittura e gli arrangiamenti del fantasioso leader.

Brani dalla connotazione vagamente astratta, come la title track, innervati da un progressivo crescendo, come nell’increspata “In the deep bosom of the ocean”, o nell’ evocativo dell’omaggio all’amico Giorgio Gaslini in "The rest is music"; brani che pongono in risalto le indubbie qualità del compositore e conduttore, ma anche le voci strumentali di Gianpiero LoBello, Alberto Mandarini, Daniele Moretto, Alberto Capra, Luca Begonia, Stefano Calcagno, Enrico Allavena, Gianfranco Marchesi, Sandro Cerino, Francesco Bianchi, Giulio Visibelli, Claudio Tripoli, Gilberto Tarocco, Luca Gusella, Emanuele Parrini, Niccolò Cattaneo, Vincenzo Zitello, Gianluca Alberti, Stefano Bertoli, Tiziano Tononi.

Nel più recente Où sont les notes d’antan? Dino Betti rievoca la figura del poeta François Villon, rivelando una profonda conoscenza dell’arte musicale francese, in particolare del citato Claude Debussy. La narrazione compositiva di Dino Betti si dipana, in questa sua ultima creazione, attraverso un racconto musicale leggermente più tortuoso: amarcord o déjà vu del proprio vissuto? Lo definirei semplicemente “storia del proprio vivere quotidiano”! In ogni caso, tutto è rivolto alla sua orchestra, o dinamico collettivo, in cui musica scritta e libertà formale si fondono in un magma sonoro che prende il largo dai pregressi lavori per veleggiare verso approdi inesplorati.

Le new entries Mario Mariotti, Paolo De Ceglie, Andrea Ciceri, Rudi Manzoli e Filippo Rinaldo confermano la compattezza dell’ensemble che, come nel disco del 2015, ripropone una rilettura del passato: “Velvet Is the Sound of Drums From Afar” (tratta da Space Blossoms), affrescata da una nuova verve d’assieme che fa da long bridge con Notes Are But Wind. L’equilibrio, fra il pieno rispetto della partitura e la foga dei solisti coinvolti, si avverte nel fluire dei cinque brani, laddove uno slancio di humour ravviva il racconto musicale in talune strutture ispirate da tematiche dal contenuto decisamente problematico.

Allora…osservando con attenzione la copertina di questo lavoro, ci piace accomunare la carriera e la produzione discografica dell’eclettico Dino Betti Van Der Noot all’immagine che ha scelto a corredo di Où sont les notes d’antan? E’ l’opera della figlia Allegra intitolata Immagine retinica, una ricerca visuale per le immagini che rimangono impresse nei nostri occhi dopo aver visto o percepito qualcosa che ci ha colpito, al pari di quanto il Nostro abbia cercato di dire in quaranta anni con la sua “Musica”.

Francesco Peluso

Articolo pubblicato in Music Magazine, anno III, n.1, gennaio 2018

Da ascoltare:

Où sont les notes d’antan?  https://www.youtube.com/watch?v=wb2gwLJSMG0

That Muddy Mirror : https://www.youtube.com/watch?v=TlQ-dxl4m3E

The Paths of Wind : https://www.youtube.com/watch?v=p8kRD2R4wTw

 

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