pino daniele e giorgia, il ricordo di un amore (le parole della musica)

Le Parole della Musica

Pino Daniele e Giorgia, Il ricordo di un amore

 

Il ricordo di un amore

viaggia nella testa

e non c'è una ragione

quando cerchiamo quel che resta

come un vento di passione

o una rosa rossa

il ricordo di un amore

ci cambia e non ci lascia

In uno degli ultimi album di Pino Daniele (Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui, 2007), non l’unico brano cantato con Giorgia (l’altro, “Il giorno e la notte” è poco noto perché non edito come singolo): tristezza del timbro emotivo di un Rimpianto, graffiato nelle Note Nere, Arabe e Blues: occasioni perse e occasioni immaginate, nel momento in cui ci si sente in grado di accoglierle nella nostra memoria e di dire parole che non si possono tacere anche quando ormai è troppo tardi.

L’emozione non scompare mai, sebbene si abbia consapevolezza che l’occasione è passata per sempre (ma non è proprio questo il divenire eterno dell’amore?): se tu fossi qui, direi quello che non avrei detto mai. Ma non importa: il ricordo di un amore è nel non perdersi nel ricordo, di un ricordo che è per sempre perché ci ha cambiato la vita. Farne a meno non sarà mai possibile perché

Arriva dritto al cuore senza nemmeno avvisare

Ed allora finiscono le parole: E proprio qui, per Pino, iniziava la musica. La musica, il battito del suo cuore traditore, il lasciar correre la Vita in modo volutamente distratto e il Passato, il Passato odiato e amato, sempre nelle sue ragioni di uomo complesso con il timore di crescere al di fuori dei Quartieri, nonostante le magnifiche performances con Pat Metheny ed Eric Clapton, i viaggi americani, la fraterna amicizia con Massimo Troisi, “uomo di cuore” anche lui, le tournées con Francesco De Gregori, Fiorella Mannoia e Ron, le mille puntate televisive sempre ad altissimo share, il “tutto esaurito” dei concerti, le richieste di collaborazione da parte dei più importanti musicisti italiani ed internazionali.

Pino, l’uomo del popolo che aveva scelto di vivere in un casale di campagna, occupandosi poco della sua salute con quell’aristocratico distacco che compete solo a chi della Vita ha senso breve ed assoluto senza mai dimenticare quella sua strada (“Yes I Know My Way”) fra Capodimonte e i Quartieri Spagnoli, lunga e transitoria sul Lungomare delle Mappatelle e dei turisti in mutande americane e ciabatte di plastica.

Pino, quello che aveva suonato con il meglio di Napoli (Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo, James Senese, Joe Amoruso, Agostino Marangolo, Gigi De Rienzo, Ernesto Vitolo, Tony Esposito). Pino che forse sapeva di non avere tutta vita davanti a sé. Pino, che qualche deficiente accostava ai boss che avrebbero favorito il suo successo, quando invece, “uomo del popolo”, scriveva di una Napoli amata ma maledetta e infangata dal Potere e dalla Camorra (la stessa cosa, troppo spesso).

Pino aveva poche stranezze da divo, era molto esigente con i suoi collaboratori ma mai saccente e sempre memore del basso in cui era nato, primogenito di sei figli di un lavoratore portuale, bravo alunno delle Elementari che frequentò con Enzo Gragnaniello (un altro bravo, veramente bravo), autodidatta di chitarra prima di diplomarsi ragioniere, per poi iniziare come tecnico del suono e come sessionman per Jenny Sorrenti (sorella del più noto Alan), Gianni Nazzaro, Bobby Solo, finché divento bassista di Napoli Centrale, il jazz-rock del leader James Senese (eccellente sassofonista coltraniano e davisiano, Weather Report nell’Afro del suo Popolare partenopeo).     

Pino era un uomo musicalmente colto, votato al Pathos del Blues, alla Saudade della Bossa e al Mediterraneo Universale riletto da Wayne Shorter, Gato Barbieri, Richie Havens, Carlos Santana, Steve Gadd, Mino Cinelu, Randy California, Robby Krieger, Phil Manzanera, Jan Akkerman e Leslie West, con i quali collaborò fin agli anni Ottanta. Pino era profondo, sensibile, ironico, allo stesso tempo riservato ed inquieto, un artista completo della cui Verità più intima in realtà non si accorsero in molti, a prescindere dal conformismo del flash mob dei centomila in Piazza del Plebiscito il 6 gennaio 2015…e nemmeno lacrime di coccodrillo, semmai presenzialismo, lacrime e fazzoletti di cui si armarono tanto i canali Rai quanto quelli Mediaset per flautarci d’improvviso la bellezza interiore dell’uomo Pino Daniele, che con enfatico Modo di Sorprendere dissero con ogni retorica sull’originalità delle sfumature sonore e dei colori armonici delle sue scelte – ed in tal senso non si può non sottolineare quanto Pino, ottimo cantante e ottimo chitarrista, abbia dato al repertorio italiano, liberandolo dalle banalità stilistiche sia negli accordi che nei testi, portando il proprio vessillo jazz e black ad un pubblico internazionale per nulla attratto dal sentimentalismo e dallo strategico gorgoglio di quel lirismo d’accatto per cui, purtroppo, tante mediocri Voci italiche viaggiano ancora famose nel mondo.

Pino: ma dov’era il senso del testo, così intenso in quel legame Mi Bemolle - Sol Minore- Do Minore dell’Incipit coerentemente concluso nel Finale Fa – Si Bemolle Minore – Sol Minore?     

Dov’era il Ricordo, spazio primario del Tema della Canzone?       

In una lettera d'amore? Nel canto del mare?

Il ricordo di un amore

ci parla e non ci passa

Il Ricordo era nella Speranza di Dimenticare oppure nel Dimenticare di Sperare? Era il Ricordo veramente l’Urgenza più immediata? Era il Ricordo quel Sonno della Ragione che l’Uomo attende per Dimenticare? Dimenticare spesso è necessario, molto più di qualsiasi Ragione. Dimenticare è un atto sublime che proietta nel Presente e nell’immediato Domani, in quel Senza Memoria che, spesso, può rendere la Felicità dell’Istante. Dimenticare libera dal Senso di Morte, dal morso terribile del dover assolutamente prevenire l’Avvenire, dall’improvvisarsi Eterni sparendo dal dolore necessario che, solo, può darci l’immagine di una Felicità possibile, di un Attimo di noi stessi che, per quanto ne sappiamo, è Immutabile nella sua imprecisata ed imprevedibile Vita priva della precarietà del Tempo.

L’uomo moderno ha smarrito l’interesse per il Tempo in una perdita del Sé, nel non sentirsi in progresso con la continuità della Natura (Darwin), non riesce a porsi degli interrogativi su cosa sia il Presente; e questa perdita è uno dei mali peggiori che si possa immaginare, in quanto ci pone nel dovere di chiederci quanto possano valere le immaginazioni, i sogni, le speranze, le  ipotesi; ipotesi che soprattutto hanno la valenza di essere uniche a poter sensibilizzare verso la Condivisione e verso la Vita, la Vita che ci circonda, la Vita che è  Verità. L’Unica.    

Se avessi avuto almeno un'occasione

adesso che so capire le parole

ma il ricordo di un amore

continua a viaggiare nella testa.

Egozero

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