Pino Daniele

 

Pino Daniele: O ssaje comme fa ‘o core

La storia del Nero A Metà un anno fa voltò pagina.

“O ssaje comme fa ‘o core” scrisse per lui l’amico Massimo Troisi , scugnizzo scanzonato dal sorriso disarmante, prima che col Cuore avesse avuto un litigio definitivo.

Ci piace pensare che a Massimo avesse confidato ”a tra poco”.

 

Ora non solo quel suo stile così originale fra Blues, Jazz, Funky, Canzone d’Autore, Rock e dintorni, sarà una memoria da conservare, ma soprattutto il Calore ed il Colore (anzi, i Colori) delle sue narrazioni partenopee segneranno il confine fra il folklorismo e l’amore avvolgente e protettivo per tutti i Guaglioni che hanno dato anima alla sua Terra, una Napoli vera e sempre di passaggio come lui, sempre pronto all’avventura, ad incontrare nuove armonie e nuovi musicisti.

Delle collaborazioni sappiamo tutto, e sappiamo che parlano profondamente delle sue vicende private e del suo Slang melodico, soprattutto quelle magnifiche con Eric Clapton e con Pat Metheny, Yellow Jackets, Mel Collins, Eric Clapton, Chick Corea, Wayne Shorter, Alphonso Johnson, Danilo Rea, col Sestetto con Zurzolo, Amoruso, Esposito, Senese, De Piscopo.

La sua voce calda, morbida ed alta era ogni volta “in duo” con una chitarra suonata con eleganza e pulizia dei magneti, quale nella bellissima tournée con Mannoia, De Gregori e Ron che, con le ultime esibizioni dal vivo, gli aveva ridato quel vigore forse un po’ smarrito negli ultimi anni.

Pino Daniele è rimasto sempre fedele alle proprie scelte di uomo schivo, molto attento alla privacy ed ai sentimenti: un antitradizionalista colto, uno che è partito dai Rioni storici per arrivare lontano, in Africa, in America Latina, negli Stati Uniti, mai troppo vistoso o retorico, nel segno di una modernità al di fuori del cliché, del gossip, del pop stantio, con una certa amarezza per la politica odierna (“il mio partito non c’è più” disse più volte), nel rifiuto per le banalità antropologiche, lieve e grave nell’affrontare i temi più difficili per il Meridione, la camorra, la disoccupazione, il contrabbando, la xenofobia.

Negli spazi Bianchi e Neri o in quelli Multicolori, quella che chiamò “Terra mia” non è stata mai quella del Vesuvio o di Via Chiaia, di Marechiaro o del Maschio Angioino, piuttosto quella degli amici generosi, delle Piazze, dei Quartieri Spagnoli,  degli artisti di strada, di una famiglia riservata e “normale”.

Ricordiamo Pino come un “mascalzone” blues dallo spirito libero, uno che, nel bene o nel male, ha fatto sempre quel che ha voluto, che talvolta ha optato per scelte artisticamente discutibili, come è naturale che faccia ogni musicista di rango come lui, nel proprio stile assolutamente personale ed assolutamente riconoscibile.

Quella malinconia mai accigliata e compassata continuerà a narrare le Voci del Sud in una nuova letteratura popolare, gentile e malandrina, passionale ed esattamente nostra, secondo un accento poetico veramente di Cuore, neorealista ed istintivo.

Così, solo un anno dopo esser stati colti all’improvviso, ci sentiamo di scrivere.

Ma lo sai com’è, Pino… lo sai come fa quel cuore che è volato via.

“O ssaje comme fa ‘o core”.  

Fabrizio Ciccarelli   

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