Intervista De Seta

 

 Intervista a Lucrezio de Seta

A margine della recensione di Roberto Coghi su “Movin’ on” del Lucrezio De Seta Quartet ) abbiamo l’occasione di scambiare qualche idea col musicista romano.

http://www.4arts.it/2015/02/23/lucrezio-de-seta-quartet/)

D. Cominciamo dalla fine, a volte serve…Sei un docente, sei un musicista, sei una persona attenta a quanto “gira intorno”: cosa sta accadendo alle Arti ed alla società di questo Paese pieno di interrogativi non risolti eppure di Idee originali e stimolanti? 

R. Succede esattamente quello che succede al nostro Vesuvio: fuma, ogni tanto trema e di tanto in tanto sputa qualche lapillo. Segno di una attività nel sottosuolo estremamente viva, ma comunque frenata dagli spessi strati di lava riversatisi nei millenni, che lo rendono quel che è, nella sua maestosità, ma lo appesantiscono, pur al contempo caricando la sua molla esplosiva che, non si sa quando, ma scoppierà. 

Nel frattempo, esattamente come nella vita sociale di questa nazione, la popolazione costruisce su quelle colate, ci si stabilisce e prolifera nelle sue attività, noncurante del dichiarato e palese pericolo che corre e che è già stato scritto nelle pagine della Storia. Quindi una stridente dicotomia fra chi preme da sotto per liberare una tensione immane, creata e alimentata dalle ingiustizie sociali, l’inefficienza e malcostume generale, che più passa il tempo più diviene incontrollabile, e chi invece sulla superficie fa finta di niente e sfrutta le generose terre vulcaniche per i propri interessi, pur sapendo che prima o poi tutto dovrà sparire. In termini musicali, credo ci sia molto fermento, soprattutto fra i giovani musicisti. Ma è una energia frenata, a causa del cambiamento radicale (in peggio) dell’ambiente lavorativo nella musica, in cui gli spazi per suonare sono sempre meno accessibili e la novità e la ricerca sono sempre più viste con sospetto e sfiducia. Ma questa energia deve uscire fuori da qualche parte e spero che non vada a finire tutta in emigrazione o abbandono a causa della perdita della motivazione. Il periodo attuale è cruciale e le conseguenze, negative o positive, deriveranno dalle scelte che stiamo facendo oggi, e decideranno l’aspetto del mondo artistico dei prossimi 20 anni. Per questo, nonostante la crisi, da 10 anni a questa parte ho sempre più puntato sul contenuto e sulla qualità, piuttosto che sul bieco lavoro e sulla ricerca di consensi prevedibili. 

D. Musica ma non solo Musica troviamo nel tuo ultimo album…Mi sembra “parli” chiaramente la tracklist che hai scelto…

R.Non saprei. La musica secondo me non parla, ma stimola le “ghiandole emozionali” del nostro animo. Il linguaggio parlato e scritto è qualcosa di molto più preciso e razionale. La musica non dovrebbe mai avere a che fare con la sfera conscia e mentale, ma venir fuori direttamente dalle emozioni di chi la sta creando. Una stessa partitura può avere mille diverse interpretazioni, tutte diverse. Un testo no, proprio perché il suo significato e strettamente legato alle parole. La musica invece dipende strettamente dal carattere di chi “pronuncia” le note suonandole, dal come queste vengono create, dal luogo e, soprattutto, da chi le ascolta. Chiedi a due persone all’uscita di un concerto quali emozioni hanno provato, e quasi sicuramente troverai risposte diverse.

D. Quali emozioni intendi trasmettere con le tue composizioni? Ovvero: quali emozioni ti portano a comporre? 

R. Quello che mi sta a cuore da sempre è la sincerità. Dire quel che penso, senza troppi giri di parole e senza paura di offendere, né di rimanere offeso dalla sincerità degli altri. Se c’è rispetto profondo, non c’è frase che ti possa ferire, e anche la più cruda delle critiche diviene un’occasione di crescita di cui essere grato a chi te l’ha fatta. Quindi la mia musica deve “strattonare” l’ascoltatore e pretendere la sua attenzione, e non accompagnarlo anonimamente come sottofondo della sua giornata, magari conciliandone il sonno. Perché per me è lo stesso per i miei ascolti preferiti. E’ tutta musica che richiede un minimo del tuo impegno per essere apprezzata. Del resto è lo stesso per i rapporti interpersonali, no? O c’è qualcuno a cui piacerebbe essere per le persone care di semplice compagnia passiva, senza alcun interesse attivo e reciproco?

D. Perché hai sentito che fosse ora di incidere e, come dire, passare all’azione? 

R. Perché erano 33 anni che mi preparavo a questo passo. Una preparazione fatta di cantine, salette, piccoli club e poi teatri, palazzetti, stadi, suonando tutto quello che mi ha fatto piacere suonare, senza andare troppo per il sottile in termini di stile o suono. Sono stato fortunato di poter vivere un periodo storico in cui facendo musica era possibile fare ‘carriera’, e gli spazi per fare musica erano ‘spazi per fare musica’, per cui ne ho tratto vantaggio a piene mani. Ma il mio obiettivo da sempre è stato fare musica mia, musica originale, e portare avanti la mia visione del suono e del suonare insieme, o anche, da soli.  Non è stata una decisione calcolata, ma piuttosto una presa di coscienza del fatto che ero finalmente in grado di varare questa barca, per cui ci sono voluti decenni per renderla capace di navigare. E quindi ho lasciato il porto. Per dove però non saprei, e non mi interessa saperlo!

D. Siamo sempre “figli” di qualcuno; quali autori o strumentisti ti hanno maggiormente “formato”?

R. Sicuramente tutta la musica di stampo rock di fine anni ’70 e inizio anni ‘80. Potrei citare sicuramente i Police, The Clash e i Pink Floyd ma anche gruppi di progressive come Genesis, Yes e poi King Crimson. Il jazz arriva subito dopo passando prima per i suoni elettrici che a 12-13 anni mi erano sicuramente più familiari. Quindi primi fra tutti Weather Report, Mahavisnu Orchestra e i Lifetime di Tony Williams oltre che il primo Pat Metheny. Solo dopo mi sono sentito pronto per accogliere e farmi possedere dalla magia di Miles, Ellington, Parker e Coltrane. Il più affascinante però rimane proprio Miles Davis. E’ uno dei pochi che ha sempre guardato avanti senza alcun rimpianto per quello che lasciava. Un esempio a cui mi ispiro sempre e che credo sia fra i pochi ad avere veramente capito il messaggio implicito nella musica Jazz.

D. Come ritieni possa influire la tua attività di docente nell’esperienza musicale? Insegnare è anche confronto? Possono i tuoi allievi suggerirti qualche idea?

R. “Qualche idea”?!?! Migliaia vorrai dire!!!

L’insegnamento è una delle miei maggiori fonti di ispirazione ed è stato uno dei veicoli principali per la mia crescita in ambito musicale. Io sono un autodidatta e, in quanto tale, ho dovuto cercare le soluzioni alle mie esigenze musicali facendo continui esperimenti e tentativi. Questi esperimenti li ho poi trasferiti sui miei allievi, senza i quali non avrei capito cosa sbagliavo, e questo spesso anche su me stesso. Insegnare presuppone un grosso senso di responsabilità e non è possibile farlo se non c’è voglia di mettersi in discussione. Considera che quando approccio un nuovo allievo una delle prime cose che gli dico è proprio: “Quello che ti sto dicendo non è altro che il mio personale punto di vista che mi deriva dalla mia esperienza. Quindi io non pontifico né svelo verità assolute ma, piuttosto, do degli spunti da cui poi ognuno costruisce la propria singolare versione personalizzata. E un po’ la stessa cosa che faccio quando entro in studio con altri musicisti: mi piace esporre il mio punto di vista, ma poi si trova insieme la via che è adatta e giusta per ognuno della band.Tutto questo mi ha portato ad avere un rapporto con il fare musica molto più equilibrato e rispettoso e in cui l’elemento della personalità è imprescindibile. Mi piace la musica e i musicisti che si fanno “sentire” con la loro presenza, senza bisogno di dover dimostrare nulla, ma che “sono”, ossia sono loro stessi, senza ostentazione, ma anche senza mai nascondersi per paura di essere inopportuni, perché fare musica per me vuol dire conoscersi e mettersi a nudo, tanto verso i musicisti con cui suoni, quanto verso il pubblico per cui suoni. Se stai sempre con le mani a coprirti per vergogna o per timidezza non sarai mai veramente te stesso, e questo in musica non è una cosa buona a mio parere.

Fabrizio Ciccarelli

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