Nietzsche:filosofia,musica, Mediterraneo. di Giuseppe Cappello

Nietzsche: filosofia, musica e Mediterraneo  

La prima opera di Friedrich Nietzsche porta il noto titolo de La nascita della tragedia dallo spirito della musica e qui il paradigma filologico con cui Nietzsche rivoluzionò le interpretazioni del mondo classico diventa subito paradigma filosofico attraverso cui si dispiegherà l’asse portante che sottintenderà, pur nel suo sviluppo a tutta la filosofia nietzschiana.

 

Come è noto, di fronte alle interpretazioni classiche del mondo greco Nietzsche operò una vera e propria rivoluzione. Se fino ad allora lo spirito ellenico era stato risolto nei valori dell’equilibrio, della temperanza, dell’ordine e del giusto mezzo aristotelico, il filologo di Rocken mise in discussione questa visione come assolutamente unilaterale. Il mondo greco e il suo spirito erano stati molto di più. Ancora meglio, erano stati tanto permeati dai valori dell’equilibrio, dell’ordine e della temperanza, quanto tali valori avevano dovuto ricoprire l’originario spirito della dismisura, del disordine e dell’ebbrezza. Scrive in proposito Nietzsche: «Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l'avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschi, fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dèi olimpici».

La Grecia del dio Apollo, insomma, era stata la risposta culturale alla Grecia naturale del dio Dioniso. Sulla caoticità del divenire naturale in cui l’uomo si sentiva gettato, i Greci  dovettero tessere tutta la trama ordinatrice dei valori della religione olimpica e della stessa razionalità filosofica. Sennonché, dopo l’eccezionale  momento del «miracolo metafisico» della tragedia attica in cui Eschilo e Sofocle riuscirono a far convivere la Grecia di Dioniso con quella di Apollo, la Grecia della natura con la Grecia della cultura, la Grecia delle istintualità primordiali con la Grecia della logica e della ragione, la Grecia della musica con quella della scultura, la storia, sostiene Nietzsche, fu quella di un irretimento di tutto ciò che era natura nella ibridazione della cultura. La musica si spense e trionfò la logica; peraltro una logica che si spostava sempre di più su piano metafisico. La famosa fedeltà alla terra che più avanti Nietzsche invocherà per gli uomini fu tradita una volta per tutte. E la storia dell’Occidente, in virtù del platonismo, del Cristianesimo e della stessa scienza moderna, divenne la storia di una nientificazione, il famoso nichilismo, della vitalità naturale di ogni aspetto della vita umana.

Per la storia della cultura europea, da Socrate a Kant, Nietzsche ci parla della «storia di un errore». La storia di una continua sepoltura, sotto i paradigmi delle essenze universali della religione, della morale, della scienza e della filosofia, delle esistenze individuali degli uomini. Così, nella prospettiva nietzschana bisognava «rifidanzare l’uomo con la natura»; bisognava filosofare «col martello» per infrangere tutto il sistema cristallizzato dei valori sotto cui si era spento il mondo degli istinti dell’uomo europeo. Bisognava annunciare la morte di Dio e, con lui, dell’uomo perché rinascesse l’oltre-uomo. L’oltre-uomo ovvero innanzitutto l’uomo della musica.

Ma di quale musica? 

In origine, grazie anche a una sistematica frequentazione e ad amichevole familiarità, a Nietzsche sembrò di ritrovare lo spirito dionisiaco della valorizzazione della naturalità dell’uomo nella musica di Wagner. Sennonché per Nietzsche, in ultimo, non fu che un’illusione e un’amara disillusione a cui seguì anche la rottura dell’amicizia con il musicista. In questo senso si dispiega lo scritto nietzscheano dal titolo Il caso Wagner. Ecco, testuali, l’illusione e l’amara disillusione: «Eppure fui uno dei wagneriani più corrotti... Fui capace di prender sul serio Wagner... Ah, questo vecchio incantatore! Che cosa non ha dato ad intendere a noi tutti! La prima cosa che la sua arte ci offre è una lente di ingrandimento: ci si guarda attraverso, non si crede ai propri occhi ‑ tutto diventa grande, persino Wagner diventa grande... Che astuto serpente a sonagli! Per tutta la vita ci ha strepitato dinanzi dedizione, fedeltà, purezza e si è ritirato da questo mondo corrotto con una lode alla castità! ‑ E noi gli abbiamo creduto». Ma perdere Wagner per Nietzsche non significò perdere la musica. La musica, come egli la intendeva, nella celebrazione della naturalità originaria dell’uomo egli se la ritrovò di fronte nella Carmen di Bizet. Una musica che lo allontanava dalla triste e umida Germania per riportarlo lì dove era nato e doveva essere ancora Dioniso, sulle sponde del Mediterraneo. Per essere tale, la musica, per riconciliare veramente l’uomo con la natura e con se stesso, doveva essere musica mediterranea, doveva mediterraneizzarsi. Cosa che appunto avveniva per Nietzsche nella Carmen di Bizet per cui il filosofo scriveva: «Ieri ho ascoltato ‑ lo crederete? ‑ per la ventesima volta il capolavoro di Bizet. Ancora una volta ho persistito in dolce raccoglimento, ancora una volta non sono scappato. Questa vittoria sulla mia impazienza mi sorprende. Come tale opera rende perfetti! Si diventa a nostra volta un capolavoro. Quando mi parla questo Bizet, divento un uomo migliore. Anche un migliore uomo di musica, un ascoltatore migliore. Si può, soprattutto, ascoltare ancora meglio? Io sprofondo le mie orecchie anche sotto questa musica, ne ascolto la causa. Mi sembra di vivere la sua genesi, tremo davanti ai pericoli che accompagnano un qualsiasi azzardo, resto deliziato di casi felici dei quali Bizet è innocente. Con essa si prende congedo dall'umido nord, da tutto il vapore dell'ideale wagneriano. Già l'azione ce ne redime. Di Mérimée essa ha ancora la logica nella passione, la linea più breve, la dura necessità; ha soprattutto quel che è tipico della zona calda, l'asciuttezza dell'aria, la limpidezza nell'aria. Qui il clima è mutato sotto tutti gli aspetti. Qui parla un'altra sensualità, un'altra sensibilità, un'altra serenità. La sua serenità è africana; ha sopra di sé la fatalità, la sua felicità è breve, improvvisa, inesorabile. Invidio Bizet per aver avuto il coraggio di questa sensibilità che nella musica colta d'Europa non aveva ancora ricevuto espressione ‑ di questa sensibilità più meridionale, più bruna, più arsa […]. Il faut méditerraniser la musique».

 

Giuseppe Cappello

 

 

 

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