mina, se telefonando (le parole della musica

Le Parole della Musica

Mina: Se telefonando

 

Lo stupore della notte

Spalancata sul mar

Ci sorprese che eravamo sconosciuti

Io e te.

Il Nome dell’Amore e la Necessità del Disamore. Se Amore sia un incontro rapido e non cercato, chi potrà mai dire? Amore possono esser i Minuti di un’avventura estiva nel silenzio della Luna sul mare, senza necessità di corteggiamenti insistiti e “rose e viole” da donare? Amore può esser anche la necessità di dover dire Addio senza dirlo e non poter dire Addio perché un Addio non c’è mai? Amore: e chi potrà mai dire cos’è l’Amore senza aver provato l’emozione di un breve incontro che dopo anni si sente ancora l’impulso di raccontare e scriverselo sul cuore, con la stupida incertezza dell’essersi detto “non potevo, non sapevo, non immaginavo, non me la sentivo, non capivo”.

Maurizio Costanzo e Ghigo De Chiara cercavano la sigla del loro programma “Aria condizionata”. Ebbero la fortuna d’incontrare Ennio Moricone, che scrisse la melodia. Lui la eseguì al pianoforte della sala prove Rai di Via Teulada: Mina la sentì immediatamente sua.

Il testo, osé per l’epoca, intendeva narrare di un Addio mai detto, e le modulazioni armoniche difficili e dure ed elegiache esigevano una voce sempre in Crescendo, che s’inerpicasse su note alte restando a lungo in quell’agile eleganza che solo una Golden Singer avrebbe potuto esaltare nei Salti d’Ottava e di tonalità.

Lato A di un 45 giri non d’immediato successo (Lato B “No”, firmato dagli Amici  Gianni Boncompagni, Jimmy Fontana e Carlo Pes), 3 minuti di geometria semplice e metrica modernissima cantati da una Mina già scandalosa per il suo rapporto con Corrado Pani: una donna che esegue un ruolo da uomo (magari essendone la trasfigurazione) e che sa che l’uomo inganna, e che di tanto, in fondo, gliene importa poco.

Mina variò “nel buio le tue mani sulla mia” in “nel buio le tue mani sulle mie”, poiché su quella “mia” qualcuno avrebbe potuto far allusioni spinte per l’audace lezione di una Femmina Vincente, in forte controtendenza col parler bourgeois sulle madonnine vergini di “Dio come ti amo”, “Io che non vivo senza te” e “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” (il nazionalpopolarismo vincente di Gigliola Cinquetti, Pino Donaggio e Gianni Morandi).

Poco dopo l’uscita in piccolo vinile l’affascinante bandiera YéYé Françoise Hardy in versione francese (“Je changerais d’avis”), nel 1987 Ennio Moricone rielaborò la parte melodica per la colonna sonora dell’ottimo “Mission”(regia di Roland Joffé con Roberto De Niro e Jeremy Irons), poi, intuitane la bellezza accattivante ma non il senso né musicale né testuale, nel 1998 i Delta V in versione techno, nel 2003 Orietta Berti (sic transit gloria mundi…), nel 2006 Claudio Baglioni nella sua pretenziosa antologia “Quelli degli altri tutti qui”, nel 2007 come sigla finale del filmetto “Tutte le donne della mia vita” di Simona Izzo, nel 2009 in “Due partite” del regista Enzo Monteleone, nel 2015 nelle convincenti versioni di Nek (molto bravo nella luce vocale dei medio-alti) e di Franco Battiato per l’album “Anthology- Le nostre anime”. Tanto a dire la notorietà che il brano ebbe sia presso il pubblico più attento che nelle prove (d’autore o meno) di tanti cantanti italiani, omettendo per brevità altre tante, tantissime interpretazioni che ne testimoniano l’assoluta e giustissima ammirazione.

Ma, come si diceva…        

Poi nel buio le tue mani

D’improvviso sulle mie,

È cresciuto troppo in fretta

Questo nostro amor.

Mina lo sapeva, ed allora, nel piacere di “guardare la sua voce”, personalizzò l’espressività della melodia negli occhi di chi sa prevedere:

Se io rivedendoti

Fossi certa che non soffri

Ti rivedrei.

Se guardandoti negli occhi

Sapessi dirti basta

Ti guarderei.

La morale pubblica del tempo (forse non solo di quel tempo) imponeva l’interrogativo: chi è il Vincitore e chi è il Vinto?

Ma. E quanti Ma in quel ripetere le faticose certezze del Senza. Ma…

Non si crede mai all’Istante, piuttosto si cercano concretezze ispirate, certezze che possano dar un’immagine “positiva” della nostra esistenza sempre e necessariamente vista solo in un ”divenire” di cui non si può sapere nulla, proiettata in un futuro che pretende sicurezze, sicurezze impossibili.

Se guardandoti negli occhi

Sapessi dirti basta

Ti guarderei.

Ma non so spiegarti

Che il nostro amore appena nato

È già finito.

Noi, che di Istanti siamo fatti, pretendiamo di poter avere il futuro in tasca e la coscienza sempre a posto secondo quella Morale che c’impone sobri punti fermi e saggezza nell’operare, privandoci del Momento, dell’Assoluto vivere il Momento senza alcuna Memoria Necessaria, senza la Logica di quei “senza” che assillano, stringono e affogano l’Hic et Nunc, il Qui e Adesso di cui siamo fatti: atomi oscuri, cellule riproducibili create d’Impulso, esistenze create senza alcuna meditazione e Amori Supremi da affidare all’Eternità inesistente delle nostre Parole, dei nostri Gesti, delle nostre Transizioni da Materia inestinguibile  a Materia estinta.

Istanti di Passione: l’agitazione crescente nell’Ansia di una Colpa che non è mai Colpa, semmai inebriante Senso di un Futuro che è inebriante proprio perché è Futuro, Futuro che non sappiamo, Futuro che, vorremo o non vorremo, avrà completi quei Momenti di Passione. E tanto basterà per essere certi di poterli e, soprattutto, doverli  vivere. Anche con perfetti sconosciuti, visto che, sia nel Logos che nel Pathos, Nessuno è mai “perfetto sconosciuto”.     

Egozero  

 

 

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