charlie watts (francesco peluso)

Charlie Watts

Rock, Jazz & Blues in un solo groove

Al pari del suo alter ego dei Beatles, Ringo Star, Charles Robert Watts, detto Charlie, ha rappresentato un’icona di quella leggenda della musica Rock che, ancora oggi, entusiasma chi adora le performances dell’inossidabile band dei Rolling Stones. Se Mike Jagger e Keith Richard hanno superbamente proposto negli anni il ruolo di frontmen ed icona scenica della formazione d’oltremanica, non meno importante si è rivelato il drumming di Charlie Watt.

Il batterista londinese, scomparso all’età di ottanta anni il 24 agosto scorso, nonostante non abbia ricevuto roboanti apprezzamenti come alcuni colleghi (mi viene da citare John Bonam dei Led Zeppelin o Keith Moon degli Who) ha connotato, con il suo flusso ritmico, la musica degli “Stones” e preso parte alla nutrita schiera di batteristi del British Blues che caratterizzavano il loro approccio linguistico di forme tipicamente Rock screziate da sfumature afroamericane.

L’incontro con il Rhythm and Blues e dintorni avviene in giovanissima età, grazie alla frequentazione di colui che diverrà un amico fraterno, Dave Green, scoprendo in quegli anni la musica di Miles Davis e John Coltrane. Per questo, avendo iniziato a suonare la batteria, nel 1960 Charles si immerge a perdifiato nel vasto panorama dell'emergente fucina di talenti che diedero vita alla Blues Incorporated . Ed è, dopo un triennio di intensa esperienza in quel mondo musicale della capitale britannica dei primi anni ’60, sotto l'ala protettiva di Alexis Korner, che il giovane Charlie entra nel 1963 quale ultimo componente della band, nei mitici The Rolling Stones al fianco di Jagger, Richards, Wyman e Jones, per rimanervi fino alla sua morte.

Tuttavia, se nell’immaginario collettivo Charlie Watt ha rappresentato il cuore pulsante della rock-band più borderline della musica di tutti i tempi, in un serrato alternarsi fra Pop psichedelico, Rock and Roll e Blues, non tutti sono a conoscenza del suo profondo amore per il Jazz e i suoi grandi maestri d’oltreoceano. In tal senso, gli storici compagni hanno più volte sottolineato come gran parte delle alchimie degli “Stones” abbiano tratto linfa vitale dal particolarissimo groove di Watts.

Fra le centinaia di performances in studio e dal vivo di Charlie Watts con i Rolling Stones si potrebbero scrivere fiumi di parole in ragione del suo apporto alla costruzione delle strutture perlopiù a firma della premiata ditta Jagger & Richard, io, invece, voglio soffermarmi su tre canzoni che hanno da sempre segnato, al di là di generi e stili, il mio cammino alla scoperta della “buona musica”  : Sympathy for the Devil, Honkytonk Woman, Wild Horses.

Con l’album del 1968 “Beggars Banquet” (Decca Records) la band inglese, dopo una frequentazione di atmosfere pop dalle forme lisergiche,   ritorna alle radici Blues e, nel brano d’apertura Sympathy for the Devil, il groove percussivo di Watts trascina i suoi partners verso un’ipnotica circolarità ritmica. La canzone, ispirata al romanzo “Il maestro e Margherita” dello scrittore russo Michail Afanas'evič Bulgakov, parte da un intro in stile folk per prendere il largo in un coinvolgente samba rock. La voce di Jagger, alternata alla ripetitività dei cori, trova nella tribale spinta della batteria la giusta connotazione di un testo che diede origine ad una moltitudine di indignate interpretazioni ai confini del satanismo.

Le produzioni della band, a cavallo fra il 1968 ed il 1972, possono considerarsi l’espressione di un apice creativo che, nel 1969, propone un’ennesima perla, ovvero, Honkytonk Woman. Dapprima, pubblicata come singolo, in seguito inserito nel mitico Let It Bleed (Decca Records), la versione dal titolo Country Honk vede un nuovo arrangiamento di matrice country ad opera del chitarrista Mike Taylor. Come non amare l’intro del campanaccio, lo schiocco del rullante, la potenza del colpo di cassa ed il groove che trascinava il tagliente riff della chitarra e la graffiante vocalità di Jagger! Come non apprezzare l’esaltazione di un testo dalle tonalità forti che faceva esplodere il pubblico nel perpetuarsi della performance del brano a qualsiasi latitudine del globo! Il testo, ispirato ad una donna “honky tonk", termine utilizzato in America per indicare le ballerine da saloon che spesso erano anche delle prostitute, proponeva, nel primo format, un chiaro riferimento ad un’atmosfera riconducibile alla città di Memphis.

Ed infine, solo per fare un brevissimo cenno storico, la struggente ballata Wild Horses, in cui la batteria di Watts sottolinea a con un incedere ritmico tanto netto, quanto appropriato al climax della bellissima struttura, terza traccia del Lato A dell’imperdibile Sticky Fingers (Rolling Stones Records) del 1971. Il carattere schivo ed introverso, che lasciava i riflettori ai frontmen del gruppo, trovava un suo naturale equilibrio nell’amore di sempre… il Jazz.

Ed è proprio questo amore mai nascosto che lo ha spinto, nelle fasi di riflessione artistica degli “Stones”, a costruire intorno a sé la Charlie Watts Orchestra.   Nel 1986 l’album Live At Fulahm propone una registrazione dal vivo di questo organico, in cui la Gretsch (marca della batteria utilizzata dal maestro) si ritrova a dialogare amabilmente con una canonica Big Band di matrice jazzistica. E’ il Charlie Watts meno conosciuto, quello che trae spunto dai fuoriclasse statunitensi dello strumento, quello che abbandona il Rock’n’Roll per abbracciare sonorità care ad Ellington, Basie, con l’immanenza della lezione di Billie Holiday, Fats Waller, Frank Sinatra. I suoi dischi, in quintetto o con formazioni allargate, rappresentano una mera testimonianza del personale spessore percussivo, di quanto abbia arricchito il sound dei Rolling Stones, al di là di aver ricoperto un ruolo, solo in apparenza, di secondo piano.

Lontano dagli eccessi dei compagni di sempre, in giacca e cravatta, legato da un vincolo indissolubile alla moglie per oltre cinquanta anni, Charlie lascia ai posteri un marchio di fabbrica che farà di lui un riservato protagonista del Rock che non aveva bisogno di stupire con colpi ad effetto, o proporre estenuanti e ripetitive fasi in solo.

E’ lo stesso Keith Richard ad affermare in una sua intervista alla fine degli anni ‘80: “Sono sempre gli Stones finché Charlie è con noi. È il perno principale che tiene unito il gruppo.”

Francesco Peluso

Già in Music Magazine di Dicembre 2021

 

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