Intervista ai Dear Bongo
Rumours, insofferenze demenziali e direzioni identitarie: Punk!
Giovani, certo son giovani, e per fortuna. Son giovani ma hanno una cultura musicale sorprendente, specie a veder quel che quel che gli under 30 o giù di lì producono in ambito artistico. Mordono gli strumenti, s’insinuano nel Distorto e nel Dionisiaco con giusta disobbedienza, con chiara intenzione di dire se stessi in un Suono metropolitano di forme gutturali e potenti, a confermarlo la cover dell’album, minimalista quanto ordinatamente anti Sistema. La band è formata da Simone Felici (voce solista, chitarra ritmica), Paolo Vaglieco (chitarra solista, voce), Fabio Remedia (batteria, percussioni, voce) e Davide Ingiulla (basso). E’ da poco uscito il loro EP, Dear Bongo, quattro brani dal filo logico post punk che chi ascolta non stenterà a trovare. Ne parliamo con loro.
d. Come vi siete incontrati e perché avete deciso di far musica assieme?
r. Simone
Sentivamo diverse necessità e però tutte nello stesso momento. Abbiamo dato diverse forme a queste necessità e le abbiamo riunite intorno ai Dear Bongo. È stato un percorso difficile perché il fare un qualsiasi tipo di arte mal si adatta a una vita fatta di lavoro salariato. Semplicemente sei stanco dopo 8 ore - e sappiamo tutti che sono sempre di più - a fare sempre la stessa cosa; senza contare i viaggi andata-ritorno non ti rimangono energie neanche per amare, figuriamoci per mettere mano a uno strumento complesso. E se sei stanco, non hai voglia. Non hai voglia ma lo devi fare, litighi. La prima formazione dei Dear Bongo ha sofferto tutto questo ma ha creato brani proprio per sublimare quell'istinto di morte scaturito da una vita fatta, sostanzialmente, di parole tipo "produttività", "appuntamentare", "essere smart = essere intelligenti" ecc. Parole che corrispondono a "obbedisci".
r. Paolo
Sì, all'inizio il percorso è stato complicato. Però, dal mio punto di vista e anche da quello di Simone (credo), per quanto le difficoltà siano molte è davvero difficile che qualcuno o qualcosa ci tolga la voglia di creare e produrre. Infatti, quando il progetto sembrava essersi perso, dopo lo scioglimento della prima formazione, io, Simone e Davide (il nuovo bassista) ci siamo ritrovatiad una jam con gli strumenti in mano e abbiamo capito che non potevamo rinunciare alle nostre idee. Noi tre ci conosciamo da tempo, seppur abbiamo legato di più da qualche anno, quindi anche il contesto in cui siamo cresciuti ha fatto sì che sviluppassimo delle affinità. Fabio (il batterista), invece, è letteralmente apparso una sera quando eravamo alla ricerca di un drummer. È stata una bella svolta.
r. Davide
Sì, non mi sembra azzardato dire che Fabio sia stato il Deus Ex Machina senza il quale il progetto non avrebbe potuto/dovuto giungere a compimento. Senza annunciarsi, è accaduto, come Giovanna D'Arco o un Terremoto. Siamo accumunati dallo stesso background culturale, ovvero quello della provincia marchigiana, ed inevitabilmente siamo tutti cresciuti associando la musica ad una voglia di emancipazione e di fuga. Questo ci ha permesso di capirci subito e di parlare la stessa lingua musicale.
d. Il Post Punk ha ancora ragione di esistere, e non solo per motivi musicali…
r. Simone
Il Post-Punk è stato storicizzato, per cui ha ragione di esistere musicalmente e testualmente nella misura in cui quelle pratiche riescono ancora a trasmettere un senso di appartenenza. Nel mio caso è vero che urlo in inglese ma tutti recepiscono l'urlo. A qualcuno quel mio urlo ha dato fastidio. Non mi aspetto che a tutti piaccia il mio modo di esprimermi, sarebbe un errore pensarlo. È ovvio che a un certo punto smetterò di esprimermi così (già fa ridere pensare a tutti quei dinosauri che ancora calcano i palchi pensando di avere ancora 20 anni e che continuano a sbraitare emettendo guaiti invece di urla o peggio ancora note vere e proprie). Mi piacerebbe piuttosto accendere un microfono in registrazione e catturare tutte le urla da esaurimento lavorativo in un unico istante. Ne uscirebbero 5 secondi di grande musica, un disco definitivo.
r. Davide
La definizione di post-punk sa essere riduttiva ed eloquente al tempo stesso. Tutti e quattro siamo figli dell'epopea chitarristica entrata ormai nel suo inesorabile declino e speriamo in questo modo di contribuire alla sua definitiva dipartita.
d. I vostri testi lanciano un allarme in ambito sociale anche a partire dalla scelta dei titoli dei brani , quale più precisamente?
r. Simone
I miei testi sono un j'accuse interpretato da una larghissima bocca che si ingozza di parole che vengono vomitate per essere rimangiate per essere vomitate per... Ecco perché urlo. È un circolo vizioso solo apparentemente senza vie d'uscita. Più che lanciare un allarme sociale, è l'allarme stesso che ha creato questo mostro nevrotico.
d. Da un punto di vista musicale, sento un ottimo interplay per un sound punk londinese, atmosfere mordenti condotte da una voce metal sopra un tappeto chitarristico che a mio avviso traduce climi anni 70 e 80 in un Hardcore spigoloso ed efficace. Che ne pensate?
r. Simone
Ti ringrazio per la domanda e per le osservazioni. Non ascolto molto metal per cui ripeto che quel mio urlare è una necessità corporale. Non ho riferimenti particolari in questo. È stato acutamente osservato che il mio è un urlo demente che si ricollega a una tradizione di urlatori dementi. Sono d'accordo. Per quanto riguarda la musica che scrivo, invece, sembrano lontani anni luce ma i miei riferimenti sono i Soft Machine dei primi due dischi, quelli di Kevin Ayers, Robert Wyatt e Hugh Hopper con una fetta di Camembert. Spero che in seguito i Dear Bongo matureranno un proprio "Third", così avrò una ragione per abbandonare la barca.
r. Paolo
Ti tocca rimanere nei Dear Bongo ancora un bel po' allora!
d, Dai Sex Pistols al Robert Fripp con Brian Eno, dai brani più noise dei Led Zeppelin al clamore battente dei Clash, in quale identità musicale vi riconoscete?
r, Paolo
Bè, non c'è dubbio che il post punk in generale deve molto ai suoi progenitori, tra cui per l'appunto nomi culto come Sex Pistols, Clash e i Ramones in America, che a loro volta discendono dal rock’ n’ roll e dall'hard rock, e quindi può avere senso nominare anche i Led Zeppelin, soprattutto i brani più rudi come hai fatto notare, giustamente. Ad ogni modo, i nostri ascolti sono tanti e vengono dal Krautrock, dalla No Wave, dal Rock psichedelico e sperimentale. Una certa demenzialità e ironia postmoderna alla Brian Eno o alla Talking Heads (per quanto la nostra sia più barbara) può ad esempio essere citata, in particolare per l'istrionismo vocale di Simone - come dice anche lui. Oppure la chitarra di Robert Fripp che, personalmente, è tra le mie principali influenze: i tratti duri, poi più tenui, i fraseggi jazzistici, le dissonanze. Ancora mi gaso, dopo anni e anni d'ascolto, sulla parte funk di Sailor's Tale, per dire. Gli ascolti sono tantissimi, perciò è un po' complicato parlare di identità. Considerando anche che, nel caso di me e Simone ad esempio, ci sono progetti solistici in ballo in cui facciamo altro. Il primo EP dei Dear Bongo, in sostanza, è un progetto in cui confluisce tutta la nostra rabbia, perché tra tutti gli stimoli culturali e il piattume che ci è intorno non rimane che un urlo o una schitarrata violenta.
d, Hobo Talks dei Dead Horses, una cover per il vostro EP, mi sembra indicativo per quel che avete in mente per il vostro futuro.
r. Simone
Sono stato colpito dalla musicalità dei Dead Horses e ho deciso di rendere ancora più rumoroso e dritto quel loro bellissimo brano. Quella cover rappresenta ciò che eravamo nella prima formazione: un gruppo rumorista. Anzi l'intero EP è un’ emanazione di quella formazione. I brani che costituiranno il nostro primo disco sono una maturazione di queste prime intuizioni. Via via abbiamo semplicemente accantonato quelle pretese intellettualoidi di pensare alla musica come pura forma da modellare e ci siamo resi conto di poter far combaciare le mie espressioni gutturali con altre espressioni melodiche che venissero da necessità personali.
d. Perché avete scelto il nome DEAR BONGO?
r. Paolo
L'origine del nome ce la giriamo sempre come risposta. Rispondo io stavolta: praticamente il nostro nome ha origine da un aneddoto (o forse solo una leggenda), secondo cui Captain Beefheart, altro gigante, ricevette una lettera da Bono degli U2. E niente...Bono in questa lettera si dichiarava un estimatore del capitano e avanzava la proposta di una collaborazione. La risposta epica di Captain Beefheart fu: "Dear Bongo, no.". Da qui il nome "Dear Bongo".
Fabrizio Ciccarelli
# l’Ep è su https://dearbongo1.bandcamp.com/album/dear-bongo-ep