john scofield, auditorium roma 14.5.2018

JOHN SCOFIELD

Auditorium Parco della Musica, Roma, 14.5.2018 

 

Lo scorso 14 maggio l’Auditorium Parco della Musica ha ospitato la data romana del quartetto di John Scofield. Ideatore e promotore di questo straordinario progetto, Scofield è stato accompagnato da un gruppo di lusso composto da tre dei più brillanti musicisti della scena jazzistica mondiale: Gerald Clayton al pianoforte (e per l’occasione anche all’organo Hammond), Vincente Archer al contrabbasso e Bill Stewart alla batteria. In un’ora e quaranta di concerto, il quartetto ha proposto un programma in cui si sono susseguiti nove brani di straordinaria bellezza in cui il genere country si è alternato al blues della tradizione americana. 

Nel panorama jazzistico odierno, John Sconfield è considerato tra i più influenti e prolifici musicisti in attività; la sua musica, ricca di sfumature rock, blues e soul, è contaminata da forme e stili diversi che rendono il chitarrista dell’Ohio unico nel suo genere. 

L’album che ha presentato durante il suo tour Europeo è stato Country For Old Men (forse un richiamo a No Country For Old Men dei fratelli Coen, o più semplicemente un tributo alla musica country com’era già stato fatto dal coetaneo Bill Frisell nell’album Nashville).

Un aspetto curioso è che certi generi musicali, che trovano le loro radici più profonde nella cultura americana, probabilmente possono essere suonati con maggiore autenticità dai musicisti americani stessi, che posseggono la giusta idiomaticità e consapevolezza culturale per farlo. 

Nel disco, registrato nel 2016, la formazione prevedeva Larry Goldings al pianoforte e organo Hammond, sostituito in tour dal talentuoso Gerald Clayton; l’inimitabile Steve Swallow al basso elettrico è stato sostituito dal solidissimo Vincente Archer; mentre rimane a Bill Stewart il ruolo di batterista. 

Il concerto è cominciato in stile country con il brano Mr Fool di George Jones. Questa canzone, nella versione originale, racchiude già in sé tutti gli stilemi del country: la pulsazione binaria del basso, il suono di chitarra che rimanda al sud degli Stati Uniti e una profonda vicinanza alla musica gospel. Scofield ha saputo rimaneggiare il tema, lo ha reso suo, gli ha dato una nuova forma mantenendo l’andamento rilassato e, per alcuni aspetti, “spiritual” dell’originale. 

Diverso è stato l’arrangiamento del secondo brano I'm So Lonesome I Could Cry di Hank Williams, che prevedeva nella versione originale la scansione ritmica in 3/4 ed una velocità di esecuzione moderata; nel riadattamento di Scofield, invece, il brano è divenuto in 4/4 e la velocità un fast swing. Bill Stewart ha sfoderato un drumming eccezionalmente solido, ricco di sfumature, accenti ritmici ben piazzati ed in perfetta sintonia con il walking bass di Archer.

Il finale è stato inaspettato, si è passati infatti dallo swing ad un incalzante e contagioso ritmo funky. 

Il terzo brano è stato un omaggio al cantautore americano James Taylor. La canzone che Scofield è andato a rielaborare si chiama Bartender’s Blues, incisa nel 1977 nell’album JT (Columbia Records), la quale è particolarmente conosciuta nell’ambiente country-blues-gospel. Così il chitarrista ha voluto presentare il brano in sala, ipotizzando che potrebbe non essere nella classifica delle più conosciute in Italia e facendo così scaturire una sincera risata del pubblico.

L’armonia, la metrica e la velocità del brano non si sono discostate troppo dall’originale. La band ha mantenuto quasi del tutto intonse le caratteristiche della versione di Taylor. 

E’ poi seguita una fantastica ballad waltz, nella quale Gerald Clayton ha potuto cimentarsi in un magnifico ed elegante assolo all’organo Hammond. Concluso il brano Scofield si è poi voltato verso la ritmica e a gran voce ha staccato un up tempo.A cimentarsi in un assolo, dopo quello di pianoforte e chitarra, c’è stato Vincente Archer che ha saputo dimostrare di avere, oltre che una notevole solidità ritmica, anche un’importante dote da solista e improvvisatore. 

Per il sesto brano Scofield si è avvalso della tecnica del tapping per conferire alla chitarra un suono molto simile al banjo. Non a caso questo strumento è stato tra i più significativi per lo sviluppo della musica blues, country e jazz tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900.

Durante la performance si è potuto percepire chiaramente il band leader dare delle indicazioni ai musicisti, un po’ come era solito fare anche il contrabbassista Charles Mingus in certi suoi live e sessioni di registrazione. 

Il concerto è continuato con una stupenda ballad introdotta dalla chitarra. Gli abbellimenti, i trilli ed il vibrato di Scofield hanno conferito un timbro straordinariamente vocale alle note svolte.

Si è poi passato ad un brano nettamente più veloce, un fast sviluppato in pochi singoli accordi ribattuti. Gerald Clayton ha sviluppato con incredibile energia un assolo sull’Hammond. Archer e Stewart lo hanno accompagnato in maniera impeccabile, dando risalto al suo fraseggio estremamente ritmico. 

Il live si è concluso con un bis pacato e ricco di sfumature pop. Scofield ha introdotto il brano arpeggiando un accordo maggiore privo delle caratteristiche dissonanti del jazz. Il modo in cui accarezzava le corde però, ed il suono che ne usciva dall’amplificatore, faceva intuire all’istante che dietro allo strumento ci fosse l’inconfondibile personalità di John Scofield.

Il chitarrista si è dimostrato in grado di creare una musicalità ancora una volta personale. Questa caratteristica lo accompagna fin dagli albori della sua carriera che, come detto inizialmente, fu intrapresa appena ventenne.

Molti sono stati i band leader che lo hanno voluto nei loro dischi anche nell’apice della sua carriera. Ne è un esempio il trombettista Miles Davis che decise di scritturarlo per i dischi Star People, e You’re Under Arrest negli anni ’80. 

La musica di Scofield trasuda spirito di innovazione ed incontenibile desiderio di esplorare nuove sonorità. E’ uscito da poco il suo ultimo lavoro, Hudson, con la partecipazione di Jack DeJohnette, Larry Grenadier e John Medeski, un disco ancora una volta in grado di sorprendere l’ascoltatore, senza mai scadere nel banale o nel ripetitivo.

Restiamo in fervente attesa per il suo ritorno in Italia così da poter godere di questo suo nuovo progetto. 

Alessandro Bon

 

 

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