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Sergio Michelangelo Albonico e Stefano Milioni, Frank Zappa il Padrino del Rock, Arcana 2022

Non per i 30 anni dalla scomparsa di Frank Zappa, potrebbero essere 21 o 151 e sarebbe lo stesso perché dire del musicista americano è come parlare dell’evoluzione delle arti nel tardo 1900 e delle sue proiezioni nel 2000,  in quanto oltre ad essere un chitarrista, un compositore, un arrangiatore, un direttore d’orchestra, è stato uno spericolato e accanito dadaista della politica e del perbenismo yankee, un veterano di palchi agghindati alla Kurt Weill con rimandi alla Pop Art e al teatro d’avanguardia, a petto spesso nudo come un gladiatore sbruffone, Winston all’angolo della bocca, pantalonacci su cui sbattere la chitarra, baffoni e codaccia, passeggiate dalle Quinte al proscenio e chiacchierate col pubblico, risate sardoniche, voce stralunata e arrangiamenti postmoderni, accaniti recitativi clowneschi taglienti e maleducati, testi da Groucho Marx inframezzati da ogni mistura pensabile in note rock, progressive, jazz, dodecafoniche, folk, etno. 

“ Se non vi piace non ascoltate ma è meglio se ascoltate” sembrava suggerire Zappa nel tour Brodaway Hard Way per il quale il fotografo Milo Albonico venne ingaggiato per il giro freak dall’ottobre del 1987 al maggio del 1988 e che in questo libro, coadiuvato dal giornalista Stefano Milioni, narra con efficacia attimi di vita e d’arte del satanasso del Maryland, la sua vita “normale”, le sue amicizie ed i suoi piaceri bislacchi, i suoi tourmen affannati nella soluzione degli interrogativi armonici sollevati specialmente per la muscolosa sezione fiati e per le tastiere.

Un tour ed il relativo disco denso di aspre dinamiche, parolaio irruente, demiurgo discutibile di certo ma magnetico dei magnifici assoli di chitarra, ipnotico, lisergico, ubriacante nelle scelte ritmiche tra Edgar Varese ed i Cartoon, poliedrico, misogino, volgare italiota figlio di un immigrato di Partinico (Tengo 'na minchia tanta, nel doppio album Uncle Meat ) che discute curioso di un Guccini o dei Devo e di Miles Davis, da irrequieto diavolaccio seduto sulla tazza del gabinetto nel celebre poster, dissacrante ragazzaccio dall’ironia irresistibile contro il Sistema americano di Ronald Reagan che al massimo poteva nutrirsi di pane e burro d’arachidi, grazie a pornazzi girati nel suo studio di registrazione, poca igiene e rifiuto totale d’ogni droga. Ci credereste? Qualora qualcuno dei suoi musicisti fosse stato beccato sarebbe stato cacciato…

Ben raccontata dagli autori la genesi un po’ pazzoide dell’LP, dalla passione per il blues e per l’R&B all’amore per il Barocco e la London Symphony Orchestra: scelte originali, stranezze d’artista.    

Per inciso quello prodotto a ridosso del tour non è il miglior disco di Zappa specie se paragonato al  "siparietto freak sull'America dell'epoca" con contaminazioni blues-rock, doo-wop, free jazz di “Freak Out!” (1966), “Uncle Meat” e “Hot Rats (1969), “Waka/Jawaka” e “ The Grand Wazoo (1972), “Apostrophe” (1974), “Joe’s Garage”(1979) e “Jazz from the Hell” (1986) – copertine da collezionare - ma un compendio di sciabolate visionarie astiose, sferzanti, ruvide, scabre, quasi inaccessibili, sconnesse, irregolari, irte e astiose tra le amate Sei Corde Gibson e  Fender in schiaffeggianti registri acidi, buiastri ed esplosivi per i sistemi elettronici connessi ad un preamplificatore –equalizzatore per contenere l’effetto Larsen e tendere i suoi Live in modo decisamente psichedelico ed emozionante.

Un libro decisamente da non mancare per chi ha ancora nel cuore Frank Zappa e la magnetica descrizione che ne fanno gli autori, che sicuramente non ce ne vorrebbero qualora volessimo cassare il sostantivo “padrino”.

Suggerimento: da leggere ripassando le malie di Camarillo Brillo, Apostrophe, Cosmik Debris, Muffin Man, Willie The Pimp, Peaches in Regalia, Dirty Love, Little Umbrellas, Road Ladies e Chungas Revenge.

Fabrizio Ciccarelli

Sergio Michelangelo Albonico e Stefano Milioni, Frank Zappa il Padrino del Rock, 160 pp, Arcana 2022, 14 euro

      

 

 

 

 

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