Emiliano D’Auria, The Baggage Room, Via Veneto Jazz, 2024
Scorrendo i titoli dell’album e prendendo nota della presentazione di THE BAGGAGE ROOM del pianista Emiliano D’Auria il pensiero corre a quegli immigrati (molti italiani) che soprattutto nei primi del 900 con il coraggio dettato dalla necessità sbarcarono a New York in cerca di una vita migliore, spesso solo accattabile. Non possiamo non considerare il tema di forte attualità, e neanche c’è bisogno di far riferimenti a quanto accade tra coste nordafricane ed il sud della nostra penisola o tra il confine tra Stati Uniti e Messico, tralasciando quanto accade in numerosi altri luoghi del pianeta. “The baggage room”, il sottoscala nel quale venivano depositati i poveri averi nelle valigie di cartone legate con lo spago, nell’attesa che i migranti, trattati come bestie dalla spocchiosa “democrazia” yankee, divenissero forza-lavoro a meno di un dollaro al giorno senza alcuna possibilità di dir qualcosa contro (appunto SACCO E VANZETTI il brano più sentito in questa performance…).
Torniamo a New York, oltrepassando le barriere del Tempo e osservando quanto di creativo accade da quelle parti poiché strutture e armonie, forme compositive, arrangiamenti e assoli a quei tratti jazzisti fanno riferimento in modo vigoroso, vibrante, energico ed originale, come calibrato dal Pathos dell’interplay tra musicisti di assoluto valore e di notevole carica emotiva: D’Auria ha deciso d’incidere nella Big Apple con strumentisti che nel panorama newyorkese rappresentano punti di riferimento tra quel post Hard Bop e quel Contemporary che è l’assunto estetico essenziale di un artista che da anni si dedica alla ricerca ed all’espressione di Blue Notes istintive, pulsanti, tese, sostenute da un tessuto ritmico elastico, immaginifico e brillante, trasversale nel percorrere un modernismo afroamericano intenso e sempre ben calibrato.
Ciò che s’insinua tra i pentagrammi è l’essenziale ventura del Jazz: la personalità timbrica e coloristica degli assoli, e non sorprendono quelli di Philip Dizack alla tromba (urticante e caldo nella title track) inseguito e plasmato nei dettagli melodici da Dayna Stephens al sax tenore (specie in THE STORY OF SACCO E VANZETTI) e nelle voci dialogiche dal timing di Rick Rosato al contrabbasso e di Weku Sumbry alla batteria, cablate dal notturno solipsismo del pianista in THE LONG WAIT, amplificazione commossa di un sentimento memoriale in flou da Trio, rappresentazione crepuscolare di un’Idea sensoriale e di pulsioni che della reciprocità danno a chi ascolta la risonanza di un Eterno Ritorno, della “singolare penombra” profetica di Nietzsche ne “La gaia scienza”: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte… L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere ».
Fabrizio Ciccarelli
Philip Dizack - trumpet
Dayna Stephens - sax
Emiliano D’Auria - piano, compositions
Jacopo Ferrazza - double bass
Kush Abadey - drums
Tracklist:
- The Baggage Room
- 1891: Ellis Island
- Temporarily detained
- Searching for the new world
- The Eye Man
- The story of Sacco and Vanzetti
- The long wait
- Human connections
- Third Class
# da ascoltare in https://music.youtube.com/search?q=emiliano+d%27auria+the+baggage+room+album