intervista g.cappello su Caro Direttore

 

Un decennio di scrittura sulla polis dalla finestra dei più importanti quotidiani nazionali 

Intervista a Giuseppe Cappello sul suo ultimo libro Caro Direttore. Un decennio di cronache e riflessioni su politica, società e cultura, nell’interlocuzione di un cittadino con i più importanti quotidiani nazionali (2006 - 2017) Aracne Editrice 2018, pp 148, € 10

 

Viste le tue numerose attività artistiche, potrebbe anche risultare inconsueto tanto impegno nell’affrontare temi di grande attualità politica e non solo. E’ ora che rinasca la  “passione civile” da parte degli intellettuali italiani, piuttosto disamorati considerando la scarsissima attenzione a loro rivolta dalle istituzioni e dai partiti? 

In effetti l’attività di scrittura mi impegna su più fronti: da quello poetico e più in genere letterario a quello politico. E, mentre correggevo le bozze di questo ultimo mio lavoro che si occupa della vita della polis, mi sono reso conto che questo fronte di scrittura può essere letto, volendo generalizzare, come la parts destruens della mia attività letteraria. Una prospettiva critica che nasce proprio dalla frattura che si è aperta fra la politica e la cultura. Fra il mondo dell’azione e quello della riflessione. Si fa fatica oggi a individuare delle figure di intellettuali che non siano ripiegati sulla pura ricerca accademica e viceversa, ahinoi, delle figure di politici che abbiano una anche minima formazione intellettuale. Aristotele (che pure viveva in un momento di crisi della vita pubblica) parlava dell’uomo in termine di ‘animale politico’ e di ‘animale razionale’. Lì dove ancora la razionalità si costruiva nel politeuein (il vivere insieme) e la politica non poteva prescindere dalla fronesis (l’attività razionale). Oggi queste due dimensioni sono assolutamente trascendenti l’una rispetto all’altra. Lì dove gli intelletti hanno perso la “passione civile” proprio perché non intravedono nella politica, ormai egemonizzata dall’economia e dalla finanza, una possibilità di azione e di realizz-azione. Certo è che questa resa può essere compresa ma non giustificata. Nessuno ha il diritto di dimettersi da cittadino, rifugiandosi fra i bastioni dell’«anima bella»; piuttosto ognuno ha il dovere di impegnarsi e non stancarsi ad esercitare sempre il controcanto rispetto a quella che è la melodia dominante in cui oggi si dispiega l’inno della polis. Ed è spero quello che per me testimoni questo mio ultimo mio libro, Caro Direttore, che raccoglie le lettere che, su politica, società e cultura, ho scritto ai maggiori quotidiani pur sapendo di potermi affacciare solo dalla finestrella della rubrica delle lettere. Quando poi, dal piano di questa finestrella, ho voglia di scendere in giardino, per ritornare al discorso iniziale, si apre il discorso della poesia e della scrittura letteraria in genere. Quello è più propriamente, nella mia opera, un luogo di sublimazione e trasfigurazione della realtà: la pars construens dell’andare oltre, nell’espressione di ciò che più propriamente eterna (in una prospettiva totalmente immanente) la mia esistenza. Nel canto (che prende il sopravvento sul controcanto)  della figura femminile, dell’esperienza dell’insegnamento, della passione per la musica (in particolare quella di Sting, dei Pink Floyd e dell’immenso Pino Daniele), degli affetti familiari e dell’amicizia.

Nei tuoi interventi presso i maggiori quotidiani italiani affronti problemi e poni questioni che sono state oggetto di attenta riflessione da parte di giornalisti e intellettuali. Quali fra i “dialoghi” hai maggiormente apprezzato e quali hai recepito con una certa delusione?

Ho avuto la possibilità finora di dialogare con molte figure note delle pagine dei giornali. Sennonché anche quelle migliori, penso per esempio a Michele Serra, mi sembrano sempre più risucchiate in un vortice in cui l’industria culturale sottrae ogni energia alla riflessione in profondità e all’attenzione dell’altro; e, in particolare, di chi gli è ‘altro’. Concita De Gregorio è stata forse, in questo senso, la delusione maggiore. Ho avuto anche la possibilità di interloquire con Corrado Augias ma, se dovessi fare un bilancio, ad oggi, credo che chi riesca a mantenere la profondità della riflessione e insieme a elaborare un rapporto innanzitutto professionale con chi gli scrive sia Umberto Galimberti. Del resto non è una figura di quelle, come ce ne sono molte oggi, che dal giornalismo cercano di ritagliarsi uno spazio che vada oltre la riflessione quotidiana; piuttosto è originariamente un uomo di cultura che interviene e ascolta il dibattito pubblico. In controtendenza rispetto a molti giornalisti che oggi sentono stretta la loro professione e credono, a mio parere, di poter improvvisare su filosofia, storia e una certa sociologia. Ti faccio rispettivamente tre nomi: Eugenio Scalfari, Paolo Mieli e appunto Concita De Gregorio. Non me ne vogliano cotanti nomi, ma io, dalla mia piccola finestrella, dirimpetto alle loro redazioni criso-elefantine, la vedo così.

E’ fatto assolutamente insolito che così tanti interventi da parte di “estranei” trovino accoglienza presso la carta stampata; personalmente ne sono abbastanza sorpreso. E tu?

Devo dire che anche io ne sono sorpreso. Evidentemente “c’è ancora un giudice a Berlino”; qualcuno, nelle redazioni dei giornali, che sa cogliere il buono che proviene dallo ‘straniero’ e ha la sensibilità di accoglierlo e valorizzarlo. Anche grazie, devo dire, a un lavoro ostinato e irriducibile nei loro confronti. Gli sto con il fiato sul collo e cerco di sfruttare ogni volta le Testate che mi sembrano che si addicano di più al pezzo che invio. Una cosa è certa: negli ultimi anni si sono sempre più ridotti gli spazi che i giornali lasciano ai lettori. Sia nella quantità degli spazi sia in quell’ampiezza che consenta di svolgere un ragionamento articolato. Senza dire che importanti giornali su cui era un piacere scrivere e che spesso accoglievano i miei interventi sono stati chiusi. Penso all’Unità e al giornale su cui ho fatto il mio esordio e grazie a cui, in fondo, si è aperto e costituito questo mio cammino di scrittura politica: il buon Riformista (diretto originariamente da Paolo Franchi e poi da Antonio Polito fino a Emanuele Macaluso). Un altro elemento affinché passi lo ‘straniero’ è oggi la capacità della sintesi. Devi riuscire a dire nel minor numero di battute possibili quanto ti viene invece man mano crescendo nella penna (oggi sulla tastiera del pc) perché il concetto sia dispiegato e cristallino. Molto spesso ci vuole di più a sfrondare senza tagliare i rami portanti che a scrivere. Una cosa, la scrittura, che, in parte per una questione naturale e, per altro verso, nell’urgenza a scaricare l’adrenalina del concetto e a togliersi dalla fatica di questa tensione emotiva non irrilevante, il più  delle volte mi viene piuttosto immediata.Poi, non ce lo dimentichiamo, ci sono pur sempre gli spazi amici, prestigiosi e generosi, come Romainjazz.

In quale misura la tua esperienza di docente di Liceo (e dunque di persona costantemente a contatto con giovani e famiglie, ma anche con Istituzioni distratte e malaccorte circa la realtà dell’insegnamento) ha influito sull’urgenza di esprimere considerazioni sul mondo attuale, a 360 gradi?

In misura semplicemente … enorme! Credo innanzitutto che la scuola sia rimasta ormai l’ultima agorà (non virtuale) dove ci si incontra, come tu dici, a 360 gradi. La scuola è oggi, con tutti i suoi problemi, l’unico spazio dove si costruisce la socialità per quello che la stessa socialità è nella sua autenticità. E ritorniamo al discorso iniziale: è l’unico spazio rimasto dove quel particolare genere di animale che è l’uomo invera la sua razionalità nella sua politicità e la sua politicità nella razionalità. La scuola è veramente l’ultima roccaforte in cui attraverso il vivere insieme, il politeuein, si diventa animali razionali (loghistikoi); e attraverso cui lo sviluppo della razionalità si acquista la capacità di vivere insieme. E non solo in un fatto di ragione: la scuola è anche l’ultima grande agoràdove ci si incontra, pure con tutti i suoi momenti dialettici, nell’autenticità del sentimento. E’ una grande, polifonica, irriducibile fucina di pensieri ed emozioni.

La domanda più difficile: come se ne esce?

Alla domanda più difficile la risposta più semplice: con la cultura, il sentimento, la tenacia e … with a little help of our friends!

Nonostante la considerazione che godi presso le più note Testate, hai scelto, a mio avviso, di rimanere nell’ombra e non “arruolarti” presso le truppe di “quelli che hanno la tessera”, continuando sul tuo sito la tua libera informazione, i tuoi interessi, le tue passioni, la tua creatività…

La libertà di informarsi e di informare, di coltivare i propri interessi, con i loro tempi e la loro storicità, le passioni, la creatività, credo abbiano questa regola: se vuoi sempre continuare a scriverli, non ti devi iscrivere! Poi una finestrella, se te la vai a cercare, cun La libertà di informarsi e di informae, di coltivare i propri interessi, con i loro tempi e la loro soriità, le passioni, la creatività, credpo’ di qualità e <span style="font-size: 14pt;">in forza di un’irriducibile tenacia … alla fine la trovi sempre. Come sempre poi, <span style="font-size: 14pt;">nell’incontro sotto il segno di buona stella, hai la possibilità di scendere nel  giardino dove insieme alla poesia trovi puntuale Romainjazz e il suo ... great help of our friends!

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