clapton: i still do

Eric Clapton

I Still Do

2016 (Bushbranch/Surfdog)

Chitarre, Insidie e altre Memorie.


A chi piace tanto storcere il naso e straziarci con le solite stanche nenie a fronte delle prove non eccelse di uno dei più grandi chitarristi dei tempi moderni certamente non rivolgerò il mio articolo, visto ciò che in tanti hanno detto a proposito di questo album.
Che Eric Clapton abbia inciso di meglio è fuori discussione. Ma a chi, dei migliori, non è accaduto talvolta di non riuscire ad accendere il fuoco sacro nel tempio di Dioniso? E’ successo a tutti, non facciamo finta di non capire e soprattutto si accorcino le lingue biforcute: via le censure da Slowhand, e alzi la mano chi non ha sorriso di cuore di fronte al giro Re Minore-Si Bemolle-Do-Re Minore di Layla, chi non ha goduto per il La Minore- Re- La Minore – Re di Badge, per la travolgente Intro di Sunshine of your Love e per le tante strepitose letture di classici del Blues e per le tante intrepide ed intense Ballad firmate dal vivo, in studio, acustiche o elettriche, in solo o in trio o in quintetto (impossibile non citare Tears in Heaven per la morte del figlio Conor, caduto dal 53° piano di un palazzo di New York dove si trovava con la madre Lory Del Santo. A proposito: Oddio, cosa l’avrà mai legato all’attricetta italiana? Bah, un mistero Blues di Tennessee Whiskey Jack Daniel’s e vasocostrittori anestetici dell’Erythroxylum Coca, proprio altro non saprei trovare).
A 73 anni The Man of the Blues, come lo chiamò lo strampalato genialoide Chuck Berry, sembra abbia deciso di abbandonare le scene dal vivo e addirittura le incisioni in studio (purtroppo probabile, visto che lo stato di salute alquanto precario a causa di una malattia degenerativa, la neuropatia periferica, che poco a poco gli rende sempre più difficili i movimenti). Lo ha spesso dichiarato nelle più recenti interviste, e per questo sembra abbia voluto lasciarci questo testamento spirituale, come ogni testamento venato di malinconia, di ricordi, di appunti disordinati che, volendo ascoltarli in profondità, parlano con chiarezza della sua storia artistica come del suo viaggio in questo mondo. Ed il tono del suo canto, intenso e al di là d’ogni retorica stilistica e vizio formale, sincero e ammaliante, lo dimostra al pari degli andamenti sensuali e onirici delle corde vibrate in Spiral, a confermare quel «Senza neanche rendermene conto, quella musica mi ha portato via tutto il dolore» come testimoniato in Life in 12 Bars uscito l’8 settembre 2017 (regia di Lili Fini Zanuck per la Showtime Documentary Films).
Provo a riflettere: la sezione vocale, oltre alle bravissime Michelle John e Sharon White, presenta un certo Angelo Mysterioso, stesso pseudonimo usato da George Harrison ai tempi dei Cream . In un comunicato Facebook che ho letto Clapton ha precisato che non si tratta dell’ex Beatle, ed è avanzata immediatamente la credibile ipotesi che sia in realtà Dhani, figlio di George. Nessuno ha smentito o confermato: dunque è assolutamente probabile. Con Dhani, modello e autore di videogiochi, polistrumentista di Alternative Rock in verità un po’ acerbo e forse sconquassato dal cognome che porta, Clapton ha suonato nell’omaggio alla Royal Albert Hall di Londra il 29 novembre del 2002. Ecco allora il primo passaggio alla Memoria: il profondo legame con l’autore di While my Guitar Gently Weeps, brano riscoperto da Mr.EC nella sua delicata costruzione armonica e più volte levigato, come pietra miliare insostituibile, in moltissime performance dal vivo.
Memorie da conservare? Ecco il Blues ruvido di Alabama Woman del pianista di Nashville Leroy Carr (quando in Inghilterra giungevano gli LP di Delta o Chicago sappiamo che Mr.EC era tra i primi a portarseli a casa), il Cajun dell’amico carissimo JJ Cale in Can't Let You Do It (cui andò il tributo nel suo penultimo disco “Breeze”, Universal 2014) ed il primitivo Stones in My Passway di Robert Johnson, leggenda maledetta del Delta del Mississippi e grande sciamano del Club dei 27 (i musicisti scomparsi a 27 anni: Kurt Cobain, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Amy Winehouse…) da sempre tra i suoi prediletti ispiratori cui ha dedicato un sapido polittico (“Me And Mr. Johnson”, Reprise Records 2004), il Country rarefatto di I Dreamed I Saw St.Augustine di Bob Dylan, il traditional I'll Be Alright , così come vuole la Storia che Slowhand, bene o male, reca fin da quando se ne andò via dalla sua Ripley per cercare qualcosa d’indeciso e di rinascita, dal Blues Rock al British Blues, dalla Psichedelia al Pop Rock e all'Hard Rock, dal Reggae al Folk. Memorie? Certo, anche nell’aver chiamato Glyn Johns per la produzione, lo stesso di “Slowhand” (Polydor 1977), taumaturgo dei Led Zeppelin, dei Rolling Stones, degli Who, dei Beatles.
Si diceva quanto il disco lo rappresenti in modo coerente. Bene, altrettanto la copertina: un ritratto di Sir Peter Blake, autore del celeberrimo collage di "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band". Un altro passo della Memoria, così come gli inconfondibili colori ibridati della sua Fender Stratocaster, dopo le Gibson di John Mayall and the Bluesbreakers e del periodo Cream: la “Blackie”, fedele compagna per 15 anni, rimarrà ancora a lungo la chitarra più costosa di sempre, battuta all'asta da Christie's nel 2004 per ben 959.500 dollari. Ne ha poi vendute altre 29 nel dicembre del 2016 affidandole a Gruhn Guitars, evidentemente il suo negozio di fiducia, il cui ricavato pare sia andato al Crossroads Centre di Antigua, una struttura per la disintossicazione da cocaina e alcool, sue fedelissime concubine per quattro decenni.
Per inciso, la scelta Fender avvenne nel 1966, aneddoto che è divenuto pura mitologia del Rock: nel 1966, quando Eric Clapton e Pete Townshend videro suonare per la prima volta Jimi Hendrix, si guardarono negli occhi e dissero: «È finita. Adesso siamo il numero due e il numero tre».
Bè, era Hendrix: come pensare diversamente? Di certo Clapton non ne imitò mai gli effetti fantasmagorici e psichedelici, ma non per essere ”diverso” quanto per rimaner fedele al Suono, struggente e poetico, dei Giganti cui si ispirò appena adolescente: una devozione mai occultata, e con garbo disegnata anche in I Still Do: “Lo faccio ancora”. Appunto.

Fabrizio Ciccarelli

Guitar, Tambourine, Vocals – Eric Clapton
Accordion, Mandolin, Backing Vocals – Dirk Powell
Acoustic Guitar, Vocals – Paul Brady
Backing Vocals – Michelle John, Sharon White
Double Bass, Electric Bass – Dave Bronze
Drums, Percussion – Henry Spinetti
Electric Guitar, Acoustic Guitar, Backing Vocals – Andy Fairweather-Low
Keyboards – Chris Stainton, Walt Richmond
Keyboards, Electric Guitar, Acoustic Guitar – Simon Climie
Organ, Backing Vocals – Paul Carrack
Percussion – Ethan Johns
1.Alabama Woman Blues (Leroy Carr) – 5:06
2.Can't Let You Do It (JJ Cale) – 3:50
3. Will Be There (feat. Angelo Mysterioso) (Paul Brady, John O'Kane) – 4:37
4.Spiral (Eric Clapton, Andy Fairweather Low, Simon Climie) – 5:04
5.Catch the Blues (Eric Clapton) – 4:51
6.Cypress Grove (Skip James) – 4:49
7.Little Man, You've Had a Busy Day (Maurice Sigler, Mabel Wayne, Al Hoffman) – 3:11
8.Stones in My Passway (Robert Johnson) – 4:03
9.I Dreamed I Saw St. Augustine (Bob Dylan) – 4:02
10.I'll Be Alright (tradizionale) – 4:23
11.Somebody's Knockin' (JJ Cale) – 5:11
12.I'll Be Seeing You (Irving Kahal, Sammy Fain) – 5:00

 

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