BUD POWELL, THE GENIUS OF BUD POWELL, JAZZ IMAGES 2019, distribuzione Egea
Che pianista Bud Powell! Bopper colto e virtuoso, tanto per chiarire che l’estemporaneità jazzistica non si oppone mai alla conoscenza e all’apprezzamento per le forme classiche, oltre che per tutto ciò che è popular, meno appartenente alla “cultura ufficiale”. Raffinato compositore ed estensore dei giochi armonici del jazz, Maestro di tanti Magnifici delle Blue Notes (alla fine anche di Hank Jones e del complesso lirico divagare di uno dei musicisti più importanti del 900, Bill Evans), figlio spurio di Art Tatum e Charlie Parker.
Powell si afferma nel Be Bop. Be Bop come scelta esistenziale, anche a fronte di una grande cultura classica pari a quella dell’amico Thelonious Monk. Be Bop come scelta professionale quando inizia ad esibirsi con il fratello maggiore William Jr, per poi presto partecipare come sideman a jam session nei locali popolari del Greenwich Village e di Harlem.
In quei club tanto modesti e popolari quanto pieni di passione troverà il proprio percorso emotivo, il suo modo di suonare, “sensazione di assoluta perfezione, la stessa provata talvolta per Beethoven”, come dirà Bill Evans qualche anno dopo la prematura morte di Bud, Il 31 luglio 1966, dopo essere stato ricoverato presso il King County Hospital di Brooklyn per polmonite e per tutto quello che gli scorreva dentro. Il giorno dopo migliaia di persone affollarono le strade di Harlem per rendergli omaggio, e gli amici grandissimi musicisti Barry Harris e Lee Morgan suonarono in suo onore per una folla commossa di followers, né più né meno di ciò che sarebbe accaduto nei celeberrimi storici funerali di New Orleans con le marchin’ band per i figli più amati della “musica nera” e della cultura creola della Louisiana. Tanto a dire la popolarità di Bud presso la gente newyorkese (la gente, ma anche gli intellettuali).
Che talento Bud! Solo la morte gli impedì di perfezionare quel “canto pianistico”, quel suo nuovo modo di suonare applicando la stessa tecnica con cui Charlie Parker e Dizzy Gillespie sperimentavano sui loro strumenti a fiato per avventurarsi in voci personalissime di esplorazioni armoniche sagomate ed oblique, intense per melodismo ed aperta antipatia per i luoghi comuni di un jazz che andava affermandosi non solo sui palcoscenici dei piccoli Night Club ma anche nelle Radio generaliste di quegli States sempre alla ricerca di fenomeni da baraccone da esibire ad ascoltatori dal palato grezzo e amanti delle sbronze spettacolari. Bud aveva doti ineguagliabili di cui si accorsero tutti i jazzofili del tempo: un inconfondibile fraseggio della mano destra abile ad ampliarsi con grande naturalezza in figure cromatiche ed in accelerazioni del tutto inattese.
Ammirato anche dal pubblico bianco, proprio con i bianchi ebbe tutt’altro che buona sorte, non una novità in quegli States razzisti che spesso consideravano gli artisti neri Freakshow, mordendosi la lingua per non dirne le dimensione artistiche, come accadde per Billie Holiday, Bessie Smith, Louis Armstrong, Lester Young, Duke Ellington e tanti altri (Stati Uniti liberatori dal Nazifascismo e portatori di libertà nel Vecchio Continente? Ma, per favore, leggiamo bene la Storia). In una notte maledetta del 1945, appena uscito da un Club nel quale ancora una volta aveva stupito gli avveduti espertissimi avventori, Bud fu massacrato di calci e pugni da un poliziotto sovranista per motivi razziali: sembra che al nervoso gendarme avesse dato fastidio il suo bel doppiopetto blu sopra la camicia bianca che sapeva di whisky di buona qualità e di libertà nera; pestaggio che ebbe tragiche conseguenze sul suo già barcollante equilibrio psichico, che ne portò per sempre segni drammaticamente definitivi.
In questo doppio cd ci troviamo di fronte a performance eccezionali in cui Bud solfeggia in solo ed in quartetto: note malinconiche e smaglianti fluenze, paralleli e meridiani dai quali ogni pianista moderno ha tratto studio e ispirazione. Tra i brani tratti dall’album “The genius of Powell” (Mercury 1956, due session registrate nel 51 e nel 52 con Ray Brown al contrabbasso e Buddy Rich alla batteria) l’esplosiva leggerezza delle evergreen Tea for Two di Youmans e Caesar, The Last Time I Saw Paris di Kern e Hammerstein e Just One of Those Things di Cole Porter. Tra quelli di “Jazz Giant” (Verve 1956 per due sedute con Ray Brown e Max Roach del 49-50 con la supervisione di Norman Granz) le magnifiche Cherokee di Ray Noble, Sweet Georgia Brown di Maceo Pinkard e Kenneth Casey e le immortali April in Paris di Vernon Duke e Body and Soul di Johnny Green ed Edward Heyman. Tra quelli di “Piano Interpretations by Bud Powell” (Norgran 1956 con George Duvivier e Art Taylor in due sedute anch’esse sotto l’egida di Granz) l’elaborata disquisizione bop di Conception di George Shearing, il brioso divertissement di Crazy Rhythm di Joseph Meyer e la magia di Lady Bird di Tadd Dameron. Tra i takes di “Blues in the Closet” (Verve 1958 per l’incisione con Ray Brown e Osie Johnson del settembre del 56) le superlative When I Fall in Love di Victor Young e Edward Heyman, Woody 'n You di Dizzy Gillespie, Now's the Time di Charlie Parker e 52nd Street Theme dell’amico Thelonious Monk, una luce per il futuro delle Blue Notes in pianoforte, una pagina di un viaggio artistico tra talento eccezionale, tra alcol ed eroina come antidolorifici dovuti anche al pestaggio subito, tra un’allucinate serie di elettroshock in manicomio che ampliarono quella sua tendenza autodistruttiva testimoniata da un continuo oscillare tra momenti brillanti e improvvisi crolli tecnici. Una vita on the road, vicina alle strane illuminazioni di Jack Kerouac e al disperato giovanilismo poetico di Gregory Corso e Allen Ginsberg, prossima alle furiose invettive politiche di quel Black Panther Party che Bud non avrebbe mai visto, ma di cui aveva intuito ante litteram portanza rivoluzionaria e deflagrazione estetica. Del resto Bud era davvero un Bopper, un ribelle contro il perbenismo delle big band e della contaminazione commerciale di un Jazz ballabile e scontato che aveva dimenticato il significato dell’interplay, dell’interazione per far musica, dell’improvvisazione come linguaggio primario del condividere emozioni.
Bud fu perfetto lettore dell’onomatopea che imita una brevissima frase di due note usata talvolta come "segnale" per terminare un brano, il “punto e basta” formalizzato da uno dei padri del movimento, Dizzy Gillespie, che intitolò "Be-Bop” uno dei suoi brani, uno dei primi brani bop a raggiungere grande notorietà. Un “punto e basta” segno di un Jazz che intendeva porsi come definitivo ossimoro spregiudicato, scapestrato e sregolato, mai in antitesi con l’eleganza e la raffinata spontaneità del Suono come lettura immediata della Vita, dell’Eros-Thanatos insito nell’anima “maledetta” (benedetta) di un magnifico esteta troppo spesso designato pressappoco come disturbato mentale, e, come Paul Verlaine, Vincent Van Gogh e Gustav Klimt, per noi oracolo di Arte Moderna.
Fabrizio Ciccarelli
CD 1 [1-10]: THE GENIUS OF BUD POWELL
CD 1 [11-23]: JAZZ GIANT
CD 2 [1-9]: PIANO INTERPRETETIONS BY BUD POWELL
CD 2 [10-21]: BLUES IN THE CLOSET
TRACKS:
CD 1: TOTAL TIME: 71:07 Min.
01 Parisian Thoroughfare
02 Oblivion
03 Dusky ‘n’ Sandy
04 Hallucinations [Budo]
05 The Fruit
06 Tea for Two
07 Hallelujah
08 The Last Time I Saw Paris
09 Just One of Those Things
10 A Nightingale Sang in Berkeley Square
11 Tempus Fugit
12 Celia
13 Cherokee
14 I’ll Keep Loving You
15 Strictly Confidential
16 All God’s Chillun Got Rhythm
17 So Sorry Please
18 Get Happy
19 Sometimes I’m Happy
20 Sweet Georgia Brown
21 Yesterdays
22 April in Paris
23 Body and Soul
CD 2: TOTAL TIME: 75:53 Min.
01 Conception
02 East of the Sun
03 Heart and Soul
04 Willow Groove
05 Crazy Rhythm
06 Willow Weep for Me
07 Bean and the Boys
08 Ladybird
09 Stairway to the Stars
10 When I Fall in Love
11 My Heart Stood Still
12 Blues in the Closet
13 Swingin’ ‘Til the Girls Come Home
14 I Know That You Know
15 Elegy [Elogie]
16 Woody ‘n’ You
17 I Should Care
18 Now Is the Time
19 I Didn’t Know What Time it Was
20 Be Bop
21 52nd Street Theme