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Francesco Guccini, Note di viaggio - Capitolo 1: venite avanti, BMG 2019

Di Francesco Guccini è ancora importante parlare, alle nuove generazioni ed anche a quelle meno giovani, per ricordare le situazioni di cui forse qualcuno s’è scordato fuggendo da quei tempi che qualcuno ha chiamato “morti” e “tristi”. Tempi impallottolati nella necessità politica del giusto/non giusto dell’antidemocristiano e dell’antiamericano cantato da una onorevolissima schiera di cantautori di cui oggi, in molti, non ricordano neanche il nome. Tempi in cui era necessario parlare d’amore, di vita e di politica perché la società stava cambiando molto rapidamente: nuove esigenze, finalmente nuove speranze. Quanto quasi tutto sia cambiato lo vedono meglio quelli con i capelli bianchi e con i libri in mano, quelli che scrivono pensando ancora alla letteratura come valore insostituibile, quelli che cantano in proprio e sottovoce canzoni démodé che rimandano a Van Gogh, a Pavese, a Ungaretti, a Gozzano, a Rousseau, ad Antonio Gramsci . In altre parole quei Guccini (facciamone pure un sostantivo al plurale, mi sembra opportuno) che resistono al grossier, al politicamente corretto che spesso è moralmente scorretto, alla tronfie banalità del radical chic. Ma, per iniziare a darsi un mondo davvero diverso, bisogna averle vissute certe storie, o almeno averle profondamente interiorizzate se non ci si è storicamente passati in mezzo.

E’ il Tempo che scorre e che avvolge gli istinti in un mondo apparentemente meno placido, meno conforme alle regole dell’impegno. Un Tempo in cui Kronos s’è dimenticato di chi l’ha generato, Urano (il Cielo) e  Gea (la Terra), mandando alla pari Cielo e Terra nel sottoscala di qualche parlamento (“p” minuscola di certo) o di qualche tribunale, un dio che è ancora padre di Zeus il padrone arrogante e dei primi “immortali” (senza la “t” viene “immorali”, guarda caso), ovvero quelli che vincono sempre sulla Terra. Un Tempo nel quale gli uomini hanno preferito affidarsi al rifiuto dell’Ignoto del Futuro (e della Speranza di cambiamento) per rifugiarsi nelle leggerissime sicurezze del non pensare. E basta così. 

Questa la premessa dopo aver preso contatto con Note di Viaggio, un titolo in verità non ascrivibile alla discografia di Francesco Guccini se non per un suo brano di cui avremo a dire.  

Come ogni disco d’omaggi anche questo non è uniforme dal lato stilistico ed interpretativo, convincente in alcuni passi, discutibile in altri, ma ascoltarlo è giusto, giustissimo, perché è un lavoro di transizione che parte da un Passato importante e colto per arrivare ai timbri meno spontanei (e molto meno colti) di voci odierne, significative senz’altro ma molto meno forti emotivamente perché il Vuoto anche in musica si è diffuso; voci molto meno segnate dal disappunto e dalla poesia, seppur di indubbia ma effimera comunicatività. Resta da stabilire quale sia il rapporto tra quel passato e questo presente, limitandoci alla musica, all’ideazione di questo Note di Viaggio, agli arrangiamenti del produttore Mauro Pagani, di cui in alcuni casi possiamo dir benissimo, in altri pensiamo che francamente avremmo potuto farne a meno.

Intanto di fronte allo Scirocco di Carmen Consoli ci si può lasciar andare all’accuratezza degli inchiostri strumentali che accolgono la porcellana graffiata della brava siciliana. Giuliano Sangiorgi canta Stelle con un lasciarsi andare in effetti tipico del Guccini maggiore, bella voce come sempre lanciata nelle ottave alte seppur, a voler essere puntigliosi,  in dubbia armonia con il senso del testo e con il minimalismo del plateau musicale. Adeguata Nina Zilli nel Tango per due (peccato per una vocalist di sicuro talento: “adeguata” e basta, purtroppo, e un po’ lontana dalla vis ironica e passionale del Modenese). Ben impostato alla dizione elegiaca Brunori Sas per Vorrei (struggente ballad trasognata, rime crepuscolari di amor leggero senza sussulti drammatici, in quello stile letterario puro e disincantato che conosciamo bene e che vorremmo conoscere ancora). Intenso il fraseggio per i morbidi toni purpurei e graffiati di Malika Ayane nel valzer triste Canzone quasi d’amore. Sorprendente Manuel Agnelli con L’avvelenata per una versione alternative rock adeguatamente tirata a lucido per l’intelligente frontman degli Afterhours, non meno potente di quella acustica di Piero Pelù e Rancore ascoltata a “Un palco per due” della Rai, che avrebbe ben figurato in questo florilegio dedicato ad uno dei più importanti cantautori di tutti i tempi per chi ne conosca almeno la discografia essenziale (già che ci siamo: Folk beat n. 1, L'isola non trovata, Radici, Stanze di vita quotidiana, Via Paolo Fabbri 43, Metropolis, Signora Bovary, D'amore di morte e di altre sciocchezze, e siamo avari…). 

Il resto è da rivedere: tout court evitabili Auschwitz di Elisa e Noi non ci saremo di Margherita Vicario (istintivo e inevitabile il paragone con le versioni originali e quelle dei Nomadi con la spiazzante espressività di Augusto Daolio, unico grande esegeta del verso gucciniano), molto discutibile l’Incontro di Ligabue (pur riconoscendo che questa magnifica ballata d’amor passato difficilmente potrebbe esser affidata ad altri se non al Modenese), poco o nulla coinvolgente Quattro Stracci nel Country di Francesco Gabbani, così come Canzone Delle Osterie Di Fuori Porta di Samuele Bersani, fuori direzione rispetto alla malinconica filosofia dell’originale, complice anche l’esigenza modernista di Mauro Pagani, lecita, ci mancherebbe, ma che suona talora fuori posto e non rispondente all’emotività del testo.   

Ed ora l’inedito Natale a Pavana, brano d’inizio a memoria in dialetto postbizantino di Galli e Longobardi nella Modena rurale e proletaria di un’infanzia di Natali poveri e di vacanze squattrinate, di nebbia fredda, di vagoni di terza classe, di neve, di castagne e di mulini, di sudore di lavoro, di un casa in cui tornare con Nonna Mabilia, Zio Rico, Nonno Pietro e Zia Teresa, di sogni da portar via che danno il vero senso dell’aria respirata da uno che ha affermato che “non ha più un cazzo da dire nelle canzoni”…

Sappiamo che Guccini non ha mai inteso fare di questo album un’antologia celebrativa e che ha scelto le canzoni con Mauro Pagani, ma non sappiamo quanto egli abbia messo bocca nella postproduzione né i reali motivi per i quali la Casa discografica abbia voluto dire ancora della sua carriera, anche se li intuiamo facilmente. Certe opzioni degli attori del mélange gli rendono poco onore, dispiace dirlo. Poi sarà il pubblico interessato, pagante o non pagante, a giudicare, anche se i commenti sulle piattaforme digitali sembrano parlar chiaro, molto più di tanti special su canali Radio Tv ufficiali, Quotidiani a grande tiratura e Riviste specializzate, dei quali è sempre lecito dubitare in quanto a sincerità e, nel migliore dei casi, gusto e competenza.

Come ognuno sa è uscito il secondo capitolo dell’Omaggio che, così come avvenuto per questo primo, è stato benedetto a priori da tanti performers del giornalismo e dell’intellighenzia italiana, ai quali in tutta sincerità rivolgiamo un “Quando potrete diteci altro”.

Honni soit qui mal y pense.

Fabrizio Ciccarelli

Natale a Pavana - 5:19 (Francesco Guccini, inedito)

Auschwitz - 5:09 (Elisa)

Incontro - 4:02 (Luciano Ligabue)

Scirocco - 4:58 (Carmen Consoli)

Stelle - 5:25 (Giuliano Sangiorgi)

Tango per due - 4:50 (Nina Zilli)

Vorrei - 5:01 (Brunori Sas)

Canzone quasi d'amore - 3:17 (Malika Ayane)

Quattro stracci - 4:13 (Francesco Gabbani)

Canzone delle osterie di fuori porta - 6:22 (Samuele Bersani, Luca Carboni)

Noi non ci saremo - 3:50 (Margherita Vicario)

L'avvelenata - 4:32 (Manuel Agnelli, Mauro Pagani)

Qui l’intero album, aperto ai commenti:

https://www.youtube.com/watch?v=hs2iUB7h1Q0&list=OLAK5uy_mpqUSalGujzKoKAOl8HtKlxo6P-ZuVtx8

NATALE A PAVANA, TESTO

Del volte i m'arcordo quí i Nadali

quand'i ero un bambin:

la sfrúmmia del vacanze, dla valísglia,

al sconsummo dla strada a la stazion

a pée, ma alora a s' caminava verodío

e me babbo davanti con al peso emíemémadre'ddré.

"Modna, stazion 'd Modna"

E 'na zízzola maremma can col braghe corte, e 'na nebbia ch'a t'inzupava

al córe, e t'a l' stricava

per avertase quando 'd sovr'al colle

l'aparizion dla Madonna su a San Lucca

a t' disgeva ch'l'era ariva' Bologgna.

Babbo, perché noialtri

A 'n se sta ed ca' a Bologgna?

Eee, magara!

E po' piazale Ovest,

ghiggne e chiàccare con vosgi che col treno già i m' portavan' ed colpo su i mée monti

el sudava al vapore e quando ed rado

lascia' cl'altra stazion

s'entrava in galería

al fummo a s'inflitrava int al vagon

e a l' rempiva i polmon

e s'a t' sopiavi al nasol'era móccio e carbon.

E neve, tanta neve, bianca e fina, E neve, tanta neve

fin a la Venturina.

D'ed d'là dal fiumme a i era

Al monte dla mé Pavna,

la sóo magia e la mé forza e la mé fantasia

Giò dal treno, Ziarina,

la c'aspetava, l'era anda' a comprare l'anguilla dla vigília

Ziarina disgeva:

"via, via, ch'l'è belle buíio!"

per Nadale la notte la vén presto

E via che 'd strada, tanta,

a i né ancora da fare

a pée, ma l'era tutt'un caminare

Cla strada belle fatta tante volte

Fra dóo montaggne 'd neve.

E in ca' i i'eren tutti,

Nonnamabília a i era,

Ziorico, Nonnopietro,

e Ziateresa,

con i taselli 'd tavole 'd castaggno

e i sacchi amontina' lí'd fianco a i muri e l'acqua ch'la scoreva dal botaccio per far andar el masg'ne,

per tridare el castaggne,

robbanera, frumento e formenton. Che gran savore 'd bón!

L'era, l'era ca' mia,

i ero torna' a ca' mia,

al me fiumme,

ai mée monti, al mé mondo e Modna, e la só torre, l'eran armaste un soggno, soltanto un brutto soggno, che al Limentra

c' la piéna d'inverno.

a l'portava via

L'era, l'era ca' mia,

i ero torna' a ca' mia,

al me fiumme,

ai mée monti, al mé mondo e Modna, e la só torre, l'eran armaste un soggno, che al Limentra

a l'portava via.

TRADUZIONE

A volte mi ricordo quei Natali

quando io ero un bambino:

l'agitazione delle vacanze, della valigia,

il languore dalla strada alla stazione a piedi,

ma allora si camminava, santo cielo,

e mio padre davanti con i bagagli e mia madre dietro.

"Modena, stazione di Modena".

E un freddo, Maremma cane, con le braghe corte,

e una nebbia che ti inzuppava Il cuore

e ti scioglieva

per aprirsi quando da sopra al colle

l'apparizione della Madonna su a San Luca

e ti diceva che eri arrivato a Bologna.

Babbo, perché noi altri non abbiamo casa a Bologna?

Eh, magari!

E poi piazzale Ovest,

volti e chiacchiere che col treno già mi portavano di colpo sui miei monti,

lui sudava vapore e quando di rado

lasciava l'altra stazione

e si entrava in galleria

il fumo s'infiltrava dentro al vagone

e riempiva i polmoni

e se ti soffiavi il naso usciva muco e carbone.

E neve, tanta neve, bianca e fine.

E neve, tanta neve,

fino alla Venturina.

Al di là del fiume c’era il monte della mia Pavana,

la sua magia e la mia forza e la mia fantasia.

Giù dal treno,

 Zia Rina che ci aspettava, era andata a comprare l'anguilla della Vigilia.

Zia Rina diceva: "via, via, che è bello buio!"

a Natale la notte arriva presto.

E via per la strada, tanta,

ce n'è ancora da fare a piedi

ma era tutto un camminare.

Quella strada fatta tante volte

fra due montagne di neve.

E in casa c'erano tutti,

Nonna Mabilia, Zio Rico, Nonno Pietro, e Zia Teresa,

col pavimento di tavole di castagno

e i sacchi ammonticchiati lì di fianco ai muri

e l'acqua che scorreva dal bacino per far andare il mulino,

per tritare le castagne, il foraggio, il frumento e il mais.

Che grande sapore di buono!

Era, era casa mia,

io ero tornato a casa mia,

al mio fiume, ai miei monti, al mio mondo

e Modena, e la sua torre, erano rimaste un sogno, soltanto un brutto sogno,

che la Limentra

con il pieno inverno.

portava via.

Era, era casa mia,

io ero tornato a casa mia,

al mio fiume,

ai miei monti, al mio mondo e Modena, e la sua torre, erano rimaste un sogno,

che la Limentra aveva portato via.

Qui il bellissimo trailer della BMG:

https://www.youtube.com/watch?v=AUzZ9AqYuwE

 

 

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