joni mitchell- mingus(the experimental sessions)

Joni Mitchell, Mingus (The Experimental Sessions), bootleg 1978-1979

Del famoso omaggio a Charles Mingus sono state di recente trovate alcune registrazioni non incluse nell’album Asylum del 1979 e, come spesso accade, i ripensamenti di alcuni grandi musicisti finiscono per dar luogo a performances di grande interesse, che “spiegano” ancor meglio ciò che volevano realizzare.

Del famoso disco Mingus è stato detto quasi tutto, nato da un’ammirazione incondizionata per il geniale contrabbassista- compositore, intellettuale maudit e punto di riferimento per il jazz moderno e per la musica del 900. L’album, registrato da Joni Mitchell pochi mesi prima della scomparsa del maestro, è assolutamente nuovo per quegli anni, sperimentale, minimalista e raffinatissimo, per il quale Joni Mitchell volle provare l’esperienza di sala con una band fusion desunta dai Weather Report (ottima scelta!) con Jaco Pastorius al basso e Wayne Shorter al sax, Herbie Hancock al piano elettrico, Peter Erskine alla batteria: una formazione che reputiamo difficile ad esser migliorata per l’Idea di un disco come questo, originalissimo per intenzione stilistica e intuizione estetica.

A suo tempo Mingus fu esaltato dalla critica più attenta, pur sorprendendo i tanti appassionati del periodo country-blues della canadese, e divenne un gioiello per ogni jazzofilo: una prova insolita per una cantautrice nota soprattutto per le sue esibizioni in acustico, impegnate, intimiste e crepuscolari come “Blue“ (Reprise 1971) e “Court and Spark” ( Asylum 1974). Com’era possibile un approccio tanto profondo al Jazz? Facendoci caso, la vocalist inciderà il bellissimo “Shadows and Light” l’anno dopo con Michael Brecker al sax (talento enorme non sempre mantenuto), Jaco, Pat Metheny alla chitarra, un formidabile Lyle Mays alla tastiere e Don Alias alle percussioni, un doppio vinile che fece perdere la testa a produttori e direttori artistici perché tanto inatteso quanto innovativo nelle sue armonie blue legate alla Fusion jazzistica più moderna e avvolgente: qualche milione di copie vendute in un periodo nel quale i dischi si compravano con molta oculatezza, diverse centinaia di migliaia di visualizzazioni su YouTube per il relativo concerto dal vivo. Ripetiamolo chiaramente: un momento fondamentale per i  musicofili più attenti, almeno per quelli curiosi del Nuovo qualsivoglia fosse il genere, com’ è sempre giusto. Ma è pur vero che erano tempi diversi nei quali la musica di qualità girava ovunque molto meglio rispetto ad oggi.

Torniamo a questo inedito scorcio di contemporary intervallato dalla voce roca e impastata di Charles Mingus, arrangiato in cromatismi da “Gioventù bruciata” riflessivi e notturni, che introducono ad una soluzione melodica newyorkese ben meditata in studio e vissuta take dopo take, come nel visionario distonico di Edith and the Kingpin, nelle varianti visionarie di God Must Be a Boogie Man punteggiate dai controtempi slappati dal formidabile basso di Jaco, sottolineati con mordente euforia dai registri acquei del synth. Una meticolosa “critica dello scartafaccio”, come si dice in analisi letteraria, il “sinistrismo” di un viaggio anodino ed energico tra le ispirazioni del “genio pazzo ed arrabbiato”, Underdog fedele alle sue origini meticce e politicamente scorrette che soprattutto oggi reputiamo più che giuste per uno Stato dalle mille contraddizioni, tanto perbenista quanto ciarlone in tante pozioni radical chic fastidiose, appariscenti e velleitarie più che sostanziali.

Tra Jazz Rock, Hard Bop e Fusion di un fascino trasversale angoloso e luminoso, in questo album si vede quel soul ineffabile che reputiamo tra i maggiori esempi Blue Notes di contemporaneismo filosofico, di improvvisazione collettiva e di omaggio alla rivoluzione di Ornette Coleman, sirene rumoristiche di Arnold Schönberg, colorismi tra Claude Debussy e Duke Ellington, Spleen acrobatico da Cool Jazz alla Lennie Tristano e crepuscolarismo da chansonnier.

Una prova più jazzistica del disco primigenio, più distonica ed emotiva, che appare corretto completamento dell’omaggio all’Artifex di Nogales; non una sostituzione ma uno stellare ampliamento.

Ora sarà il lettore a giudicare le due fasi, piuttosto differenti per esegesi ed ermeneutica.

Fabrizio Ciccarelli

1 Introduction (The Whole Outdoor Scene) - Mingus? Tune

2 Edith and the Kingpin

3 God Must be a Boogie Man

4 Coin in the Pocket

5 Dry Cleaner From Des Moines

6 Lucky

7 Unknown - Mingus?

8 Epilogue (Solo Piano)

9 A Chair in the Sky (Live)

10 Goodbye Pork Pie Hat (Live)

Joni Mitchell – guitar, vocals

Jaco Pastorius – bass; horn arrangement on "The Dry Cleaner from Des Moines"

Wayne Shorter – soprano and tenor saxophone

Herbie Hancock – electric piano, synth

Peter Erskine – drums

Don Alias – congas

Questione ancora aperta la formazione dell’album, pur se siamo convinti che quella indicata in precedenza sia più che credibile, poiché Joni prima di dar vita al disco ufficiale ebbe diverse "sessioni sperimentali" con musicisti di New York che avevano lavorato con Mingus. Questi musicisti erano: Eddie Gomez – basso, John Guerin – batteria, Phil Woods – sassofono contralto, Gerry Mulligan – sassofono baritono, Danny Richmond – narrazione, Tony Williams – batteria, John McLaughlin – chitarra, Jan Hammer – mini Moog, Stanley Clarke – basso.

Trovare questo disco equivarrebbe ad una fortuna insperata anche perché esistono dubbi ancor maggiori sulla casa discografica che incise questo che viene definito in ogni forum come raro bootleg, uscito forse qualche porta nascosta dell’A&M di Hollywood, che a suo tempo dichiarò che gli alternate takes “non erano più disponibili”, persi, distrutti o messi da parte, magari per poi far sgattaiolare qualche disco non ufficiale a prezzo da battere all’asta, come probabilmente accadde per tanti bootleg di Miles Davis, John Coltrane, Charlie Parker, Art Blakey and the Jazz Messengers, Pink Floyd, Doors, King Crimson, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Led Zeppelin e mille altri, spesso incisi in modo molto approssimativo, spesso ai limiti dell’ascoltabilità. Si sa, pecunia non olet per il mercato discografico, anche se nel caso di queste Experimental sessions la qualità sonora è più che accettabile. Avvisiamo che alcuni vinili che recano lo stesso titolo presentano tracklist diverse, come spesso accade per le incisioni non ufficiali. Noi ne abbiamo avuto una copia in vinile Deus ex Machina, con una back cover praticamente vuota, per cui altro non possiamo dire. In ogni caso segnaliamo le due incisioni, assolutamente da non mancare:

Experimental Sessions: https://www.youtube.com/watch?v=dkSssD66BgQ&t=915s

Studio Album: https://www.youtube.com/watch?v=nRUXDYSGHTk&list=PLPaztBWnatciCoajzcE4BJJr9DNEdWM2P

 

 

 

purchase