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Brad Mehldau, Jacob’s ladder, Nonesuch 2022

Ne è passato di tempo dal Brad Mehldau appassionato di Bill Evans e Keith Jarrett come in “The art of the trio” (Warner Bros 1996), album che lo impose all’attenzione internazionale, perché in questo Jacob’s ladder il colto pianista americano elabora, dopo esser stato un vero enfant prodige più o meno coerente alle linee del Cool e del post bop, una suite distinta da una sorta di “caos organizzato” che appare come frutto di una maturazione stilistica che passa attraverso melodie del tutto nuove, riferimenti a Bach, alla Classica contemporanea ed a quella settecentesca, all’Ambient, al Jazz Rock, al Nu Jazz, alle nuove tendenze tipiche di ciò che le Blue Notes propongono esattamente in questo decennio. Nella sua perfetta e meditata coerenza stilistica, miscellanea tra Prog, Alternative Rock, Minimalismo ed  Elettronica, Mehldau varia in 12 brani spesso non facilmente definibili e decifrabili: ed è proprio questo il carattere originale che si evolve dalle riflessioni di un musicista che, più che osservare gli altri colleghi, s’è dato sempre l’obiettivo di cercare strade nuove, di fondere tutto ciò che fosse possibile in un’estetica musicale moderna, e modernissima direi in questo caso. Non che sia un’assoluta novità la fusione fra tanti stilemi diversi per provenienza culturale in un unicum a base jazzistica (in fondo il cosiddetto Contemporary vive proprio su questa quinta dimensione) però in pochi riescono a far quadrare il cerchio percorrendo armonie che finiscono per imitarsi l’un l’altra: il pianista americano invece mostra anche stavolta un’anima originale, una sensibilità acutissima, una ferrea volontà di suonare un Altro in cui confluisca ogni suo ascolto prediletto, ogni sua memoria preferita, ogni tratto che sente faccia parte del suo vissuto, della sua crescita artistica nell’esplorazione molto attenta del sistema Prog della quale è ben consapevole (dai Genesis ai Radiohead, dai Gentle Giant a Brian Eno, dagli Yes ai Nirvana) passando per le distonie dodecafoniche al di fuori del sistema tonale di Arnold Schönberg, per le salmodie  del canto biblico, per le visioni futuristiche di Charlie Haden e per  il Free di Ornette Coleman.

Dell’album scegliamo  la deflagrante acidità Progressive di Herr und Knecht con tanto di inserti vocali in tedesco (lingua molto adeguata ai Lieder ispirati ai cromatismi dei Weather Report e di Klaus Schulze) dilaniati dal solo di sax soprano e dai rabbiosi suoni d’assieme battuti da una ritmica vorace ed esplosiva, il Valzer sommesso e intimista di Glam Perfume (chiaro: Mehldau non rinuncia mai alle sue radici, graffiate dagli onirismi del synth e di una voce lirica e surreale a contrappunto di un pianismo deciso ed inquieto), le aggressive acide e possenti distorsioni Prog a matrice Yes di Tom Sawyer (nelle quali sembrano riecheggiare le visioni lisergiche del magnifico vocalist Jon Anderson, del vorace tastierista Tony Kaye, del raffinato chitarrista Peter Banks e del vigoroso batterista Bill Bruford, uno dei maggiori  nella  visione incendiaria del nuovo rock anni 70), brani nei quali Mehldau suona una ventina di tastiere diverse (Mellotrone, Moog, Hammond, Wurlitzer, Fender Rhodes, Roland, Yamaha e Korg) quale base per le belle voci di Luca Van Den Bossche, Safia McKenney e Becca Stevens, pur se noi siamo convinti che Mehldau quanto prima alternerà questo spirito di ricerca al formativo lasciarsi andare per il Pathos del Trio Jarrett-Peacock-DeJohnette, per le pulsioni intimiste di Herbie Hancock, alchimia  eccellente del suo Jazz denso di certezze e di volontà d’innovazione, come si addice ad uno dei più intelligenti pianisti del nuovo secolo.

Per questo motivo consigliamo l’ascolto del piano solo di Live in Tokyo (Nonesuch 2004), dell’intenso Blues and Ballads con Larry Granadier e Jeff Ballard (Nonesuch 2016) e dello storico duetto con Pat Metheny (Nonesuch 2006), che non possono che confermarne la statura artistica sempre divisa tra Classica e Jazz Contemporaneo.

Fabrizio Ciccarelli

Brad Mehldau – assorted keyboard instruments, assorted percussion, vocals, samples

Luca van den Bossche – vocals (12)

Mark Guiliana – drums (1, 2, 5, 7, 10, 12)

John Davis – Elektron Octatrack (1), drum programming (4, 5, 7)

Joel Frahm – soprano saxophone (2, 7), tenor saxophone (7)

Tobias Bader – vocals (2)

Becca Stevens – vocals (2, 3, 5, 9, 11, 12)

Tinkerbell – vocals (2, 8)

Lavinia Meijer – harp (3, 12)

Motomi Igrashi-de Jong – lirone (5, 10)

Chris Thile – vocals and mandolin (7)

Pedro Martins – vocals (8), guitar (8, 12)

Safia McKinney-Askeur – vocals (9–12)

Timothy Hill – vocals (9), bass (11)

Damien Mehldau – vocals (9)

Joris Roelofs – bass clarinet (11)

Fleurine – vocals (11)

Cécile McLorin Salvant – vocals (12)

Paul Pouwer – bass drum (12)

Tracklist:

Maybe as his skies are wide

Herr Und Knecht

(Entr'acte) Glam Perfume

Cogs In Cogs, Pt. I: Dance

Cogs In Cogs, Pt. II: Song

Cogs In Cogs, Pt. III: Double Fugue

Tom Sawyer (ft. Chris Thile)

Vou Correndo Te Encontrar/Racecar

Jacob's Ladder, Pt. I: Liturgy

Jacob's Ladder, Pt. II: Song

Jacob's Ladder, Pt. III: Ladder

Heaven: I. All Once — II. Like Seeker — III. Würm — IV. Epilogue: It Was A Dream But...

In ascolto su: https://music.youtube.com/watch?v=dFnpwBBYx3A&list=OLAK5uy_md4fbspSrfczqCxzAfuWekoylKL18nado

Ne abbiamo parlato con Francesco Varriale nella nostra rubrica Round about jazz su radio/altriSuoni

 

 

 

 

 

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