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Federica Cerizza, Casa, Filibusta Records 2022

Un album distinto dall’ibridazione tra Jazz e Classica da parte di un’interessante pianista, Federica Cerizza, autrice dei sei brani che compongono Casa, una performance intensa e riflessiva che cattura l’attenzione per i suoi andamenti lirici e la tensione emotiva che traspare da uno stile pianistico tanto deciso quanto rarefatto nell’ascolto del quale è piacevole lasciarsi andare in sintonia con il modus meditativo e con un’atmosfera di accordi avvolgenti, lirici e solari.

Il piano solo è un modo d’intendere se stessi, l’apice della spontaneità e della sincerità emotiva, un ardito movimento di mente e anima, una dinamica interiore che bilancia le strutture narrative di un’ espansione armonica che dall’acustica rimanda al ruolo primario del Sentire: così nei frammenti modernisti della title track  Casa, una libera trasposizione di colori decisi in una sintassi jarrettiana sottesa ai passi intimisti del Novecentismo (Debussy e Ravel) che poi rivelano un nitido ripiegamento nell’inquieta Voce di fiume e nell’improvvisazione di Sfumature.       

Pianista molto brava, estrosa, colta e raffinata Federica Cerizza, abile a muovere accenti ed a fraseggiare con perizia tecnica e giusto “stordimento ascetico” tenendo sempre a mente le melodie e agendo sulle armonie traducendole in una fisicità vibrante e sognante che lascia col fiato sospeso.

Fabrizio Ciccarelli

Federica Cerizza - piano

Voci di fiume / La bambina nella bolla / Casa / Dalla terra alla luna / Sfumature / Impro 

# da ascoltare in https://open.spotify.com/track/7y9cHgkQp4Pa27HwYCrlYv

 

Al di là di qualunque recensione, le parole dell’artista sono quelle che ci danno veramente la possibilità di capire a fondo ciò che è sottinteso alla sua musica: motivazioni, scelte, influenze, sincere emozioni. Per questo motivo nulla di meglio che parlarne con Federica, musicista di talento e persona gentile e disponibile; combinazione perfetta a mio avviso (l’immagine dell’artista agorafobico lasciamola alla letteratura d’accatto). Sintetizzando il nostro dialogo, ecco Federica:

Come inizia la tua storia artistica, quali personalità musicali ritieni ti abbiano maggiormente colpito e quale intenzione ti ha convinto ad incidere questo album?

Mio padre è un collezionista di dischi in vinile, abbiamo sempre ascoltato molta musica in casa soprattutto rock progressive inglese e americano, penso agli Emerson Lake and Palmer, ai Genesis o ai Matching Mole, ma qualche disco jazz c’era e durante l’adolescenza sono stata folgorata dall’ascolto dei concerti in piano solo di Keith Jarrett… anche se sono convinta che dietro al mio amore per il pianoforte e l’improvvisazione ci sia l’immagine di mio padre al pianoforte, vero e proprio imprinting musicale per me. Amava mettersi a improvvisare e benché non avesse mai preso lezioni, suonava con un’intensità e un coinvolgimento tali che ho sempre pensato che fare musica fosse quello: inventare la propria musica e farlo intensamente.      
Non so quindi se abbia avuto più impatto su di me o mio padre la musica di Jarrett.
L’amore per il jazz è venuto molto dopo così come quello per la musica classica.              
Negli anni ho studiato pianoforte avendo sempre in mente che parallelamente alle lezioni più tradizionali impartite dai vari maestri dovevo ritagliarmi un angolo privato in cui coltivare i miei suoni, per capire cosa piaceva a me, cosa incontrava i miei gusti e mi faceva emozionare. Perciò mi è sembrato naturale pensare al mio primo disco come un piano solo, che racchiudesse da un lato il mondo musicale che avevo costruito negli anni e dall’altro gli studi accademici successivi.           
Ho avuto certamente ottimi maestri, nella classica il mio maestro di conservatorio Alessandro Commellato, che ha colto il mio interesse per la musica del Novecento facendomi studiare la musica di Bartok, Debussy, Hindemith e alcuni autori di musica contemporanea. Nel jazz ho avuto la fortuna di incontrare Marco Detto con cui ho approfondito il linguaggio della tradizione americana con uno studio incentrato sugli standard e infine Stefano Battaglia che mi ha aperto al mondo dell’improvvisazione più radicale in cui è possibile utilizzare elementi presi da differenti linguaggi senza aver paura di entrare in un genere ben definito, ma provando a costruire un discorso musicale che sia personale, sensato e in pieno accordo con la propria essenza, senza forzature stilistiche. In particolare questo approccio si avvicina molto al mio modo di vedere la musica.

Qual è il tuo presente artistico e quali i tuoi progetti futuri?

In questo periodo sto prendendo parte ad alcuni progetti che mi stimolano molto anche se non sono strettamente miei: il Bruno Romani Organic Crossover è un progetto del sassofonista B. Romani dedicato a Pasolini, in cui le sonorità spaziano dal jazz al rock e l’improvvisazione tra noi sei musicisti gioca un ruolo centrale (ad aprile uscirà il disco per Fonoarte che abbiamo registrato live in un bellissimo studio a Bassano del Grappa), anche la J-Lab Orchestra di Antonello Monni, una big band di 18 elementi, è per me un’esperienza nuova e bellissima perché molto diversa dalle piccole formazioni in cui sono solita suonare.
Per quanto riguarda progetti più personali ho un trio con Giancarlo Oggionni e Toni Boselli, musicisti e persone che stimo moltissimo. Mi piace lavorare con loro perché non ci sono protagonismi, ognuno di noi scrive pezzi e li propone agli altri senza che nessuno svolga una funzione da vero leader, per noi lo scopo è creare il suono del gruppo e far sbocciare le idee musicali di ognuno di noi. Sono sicura che questo lavoro porterà a qualcosa di  bello e importante.

 

 

 

 

 

 

 

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