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Brad Mehldau, Largo, Warner Bros 2023, vinile

Non ce ne voglia il pianista americano ma francamente ci aspettavamo qualcosa in più dalla sua nuova idea del jazz: l’inizio dell’album non entusiasma, col ricorso ad un tentativo orchestrale che appare un po’ supponente, mentre quando Mehldau inizia il suo percorso in trio allora l’atmosfera e l’allure cambiano del tutto; riconosciamo così il grande interprete, l’inventore di uno stile originale, il raffinato maestro della mano destra, il compositore originale e colto non privo di un’intima necessità di dare soluzioni anche complesse a quel lirismo per il quale è riconosciuto da tutti come tra i primi nomi del piano jazz contemporaneo.

Prendendo adeguate distanze dalla prima produzione discografica, com’è naturale per chi pratichi arte e non mestiere, le melodie si fanno meno intime ed espansive e destano una certa perplessità: sono meno quiete e volatili, i ritmi intrecciano controtempi e continue variazioni (Dusty McNuggett), la batteria marcia molto decisa, i fiati direzionano il senso strutturale dei brani dirigendolo verso solidi appigli rock e talora pop; la sua predilezione per i Beatles, i Radiohead e Nick Drake è ben nota (si ascoltino “Blackbird” nel primo volume di “The Art of Trio”, “Exit music” e ”River man” nel terzo) e non è un caso che ogni volta inizi in modo accattivante e orecchiabile ma poi evolva in improvvisazioni anche caustiche che rasentano il Free.

Di questo consentiamo al Mehldau il lecito, anche se non è l’energia jazzistica che di lui prediligiamo ma di cui, in ogni caso, crediamo d’intendere l’intenzione sperimentale. Larry Grenadier al contrabbasso e Jeorge Rossy alla batteria restano solidi aiutanti di cordata, Jon Brion con la sua chitarra elettrica appare e scompare quando è giusto e sembra a volte il deus ex machina dell’intera performance, dando con chiarezza l’alito rock (neanche leggero: Sabbath) ad un album virtualmente a doppio nome, che del resto produce. Wave/ Mother Nature Son lascerebbe pensare ad una medley di recupero nel nome di Jobim e Lennon/McCartney ma in realtà non è così in quanto il mood s’inebria di elettronico fin troppo marcato dal lato ritmico: stentiamo a riconoscere i pentagrammi originali e le armonie che un pianista come lui avrebbe potuto facilmente fluidificare si smarriscono in  un generalizzato controtempo a mio avviso alquanto sgradevole, forse istrionico nei confronti degli ascoltatori più giovani e più vicini al funky ed all’hip hop, tendenza del resto praticata da un centinaio di pianisti/tastieristi statunitensi e che non molte volte convince. A recuperare lo charme classicistico I Do: si faccia comunque caso ad un certo sentore beatlesiano nel tema, precisamente quello di “And I Love Her”, in cerca di raffinatezze nell’arrangiamento, di intonazioni crepuscolari e di calde ispirazioni espressive.    

I Fab Four non possono mancare (slegata dall’originale vento piacevole Dear Prudence, qui quasi hard bop) né i Radiohead (una visionaria e magnifica Paranoid Android, dinamica e lisergica,  forse il brano più bello dell’album) ma resta l’idea iniziale: del pianista di Jacksonville preferiamo il cursus impressionista, introspettivo e minimalista, il clima del Trio con Larry Grenadier e Jeff Ballard alla ritmica, altri spazi armonici, altre altitudini concettuali, altri metri quali 5/4 e 7/4, canto d’interludio di una cultura classica che ci auguriamo egli mantenga intatta pur nell’audace e onesto confronto con la galassia rock e le sue materie interstellari di forma ellittica e fulminea.

Fabrizio Ciccarelli  

Brad Mehldau – piano, vibes, prepared piano

Larry Grenadier (tracks 1, 2 & 9), Darek Oleszkiewicz (tracks 2-6, 8, 10 & 11) – bass

Matt Chamberlain – drums, percussion, tabla (tracks 1-11)

Jim Keltner – drums, snare drum, vibraphone (tracks 2, 3, 5, 6, 8, 10)

Victor Indrizzo (tracks 4, 10 & 11), Jorge Rossy (tracks 2 & 9) – drums, percussion

Jon Brion – guitar synthesizer, guitar treatments, percussion (tracks 4, 5 & 11)

Justin Meldal-Johnsen – electric bass (tracks 4, 10 & 11)

Peter Mandell, Rose Corrigan – bassoon (tracks 1 & 12)

Emile Bernstein, Gary Gray – clarinet (tracks 1 & 12)

David Shostac, Steve Kujala – flute (tracks 1 & 12)

Earle Dumler, Jon Clark – oboe (tracks 1 & 12)

Daniel Kelley, Philip Yao – French horn (tracks 3 & 6)

William Reichenbach – trombone (tracks 3 & 6)

George B. Thatcher – bass trombone (tracks 3 & 6)

All tracks are written by Brad Mehldau, except where noted

  1. "When It Rains"     6:36
  2. "You're Vibing Me" 3:28
  3. "Dusty McNugget" 5:43
  4. "Dropjes" (Mehldau, Darek Oleszkiewicz, Justin Meldal-Johnsen, Jon Brion, Matt Chamberlain, Victor Indrizzo) 3:58
  5. "Paranoid Android" (Radiohead) 9:05
  6. "Franklin Avenue" 3:42
  7. "Sabbath"                4:42
  8. "Dear Prudence" (Lennon-McCartney) 5:22
  9. "Free Willy" (Mehldau, Chamberlain, Larry Grenadier, Jorge Rossy) 5:05
  10. "Alvarado"         4:00
  11. "Wave/Mother Nature's Son" (Antônio Carlos Jobim/Lennon-McCartney) 6:28
  12. "I do"               7:17

in ascolto su https://open.spotify.com/album/7i4wN3UGvFhr663Hpjgscx?autoplay=true

 

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