PIERRE BOULEZ: LA TRASPARENTE ARROGANZA DI UN GENIO
E' da poco passata la data che ci ricorda i 100 anni dalla nascita di Pierre Boulez; compositore, ideologo e direttore di orchestra di un repertorio “monstre” che spazia dalle sinfonie di Haydn fino a tutto il secondo Novecento.
E’ ovviamente impossibile condensare un repertorio di una vastità così sterminata e, in accordo con il direttore, tenterò di fare rapidissimi cenni panoramici, per spendere qualche parola in più su alcuni musicisti, “amati” e ricorrenti, nel suo immenso lascito audio/video.
Premetto che scelgo di puntare sull’ attività direttoriale, quella che, nel bene e nel male, ha comunque intensamente coinvolto certo la mia generazione settantenne ma anche la cosiddetta mezza età; dal momento che le sue apparizioni giungono fino al 2011/12, con la bacchetta.
Tutto inizia ai primi anni 60. Ci sta un video del 1962, con una “Eroica” di Beethoven, orchestra, ottima, della Provincia Tedesca, Suddeutsche Rudfunk. Io già vedo i cloni dello stile, volutamente essenziale, trasparente e asciutto, che sarà poi la sua inconfondibile cifra esecutiva e interpretativa. Ma ammetto che Beethoven non è nelle sue vere corde: ma, per farsi strada nel grande repertorio, questo video resta comunque molto interessante (certo scarnificare e scrostare radicalmente l’archetipo plurisecolare del creatore tormentato e torturato, soprattutto allora, nella migliore delle ipotesi, poteva sembrare un esperimento, a modo suo anche ben realizzato ma, come si dice, “troppo fuori dal coro”, dai luoghi comuni). Invece, solo due anni dopo, nel 1964, Orchestra della Radiotelevisione Francese: Stravinsky, Sagra della Primavera, ci siamo, eccome. Certo, la versione CBS Columbia di alcuni anni dopo in studio, forse è ancora più radicale e spietata, aiutata da un audio molto buono. Ma, a neanche 40 anni, già si cominciano a partorire capolavori, non buone/ottime esecuzioni e basta. Siamo in Area Genio.
Il maestro ha perfettamente inteso come, 1913 Premiere, la tessitura sinfonica Stravinsky la fa letteralmente saltare per aria, in mille pezzi di mille grandezze diverse. Solo 4 anni prima, 1909 nell’”Uccello di fuoco”, si sentivano ancora echi esotici, alla Rimsky Korsakov, nonostante le “stirate, forti”, cui era sottoposta la compagine orchestrale. Poi, come tutti i veri Masterworks, ci sono diversissime e diversamente fascinose angolazioni (di scuola francofona aggiungerei, diversissimi, Ernest Ansermet e Pierre Monteaux: ma, antitetici in maniera totale, non mi priverei mai di Dmitri Mitropoulos e Von Karajan). Ribadisco che mi limito all’essenziale.
Altri 2 anni, altra “frustata”. Nientemeno che sulla “Sacra Collina”, al Tempio di Bayreuth, Neue Bayreuth nel caso nostro (dal 1951 dopo la re-inaugurazione post bellica): Wolfgang e Wieland Wagner, sempre nel quadro alternante di interpretazioni tradizionali e innovative che si alternano, affidano al 41nne maestro, nientemeno che “Parsifal”, l’estremo capolavoro del nonno.
E qui si apre la doppia pista: le recite del 1966/67 lasciano la critica divisa, perplessa e disorientata.
Rispetto ai 270/280 minuti del sacralissimo e mistico Knappertsbusch, questa, di quasi ora in meno, sarà certo più scorrevole, ma per molti si perde molto, troppo, inseguendo il demone dell’antiretorica scarna e essenziale. Ma almeno il Cast vocale resta nel solco della tradizione. Invece, con la riproposta 1970 Deutsche Grammophone, il cast è in gran parte nuovo e, per i puristi, molto, molto peggio. Ricordo benissimo le polemiche assai vivaci in negozio, da Millerecords, se ti chiedevano consigli su questa opera, quale edizione. Ancora oggi per molti, una sorta di interpretazione eretica, decisamente dissacrante. E, pensate, anche quando nel 2004, 34 anni dopo, il maestro viene chiamato nuovamente a Bayreuth, stesso titolo, sentite i nastri: e sentirete buu e fischi. 34 anni dopo. Eppure, lo scandalo dilata a dismisura la fama. Ed eccoci al famoso Ring del Centenario, la Tetralogia Chereau/Boulez 1976/77 e 1979/80 (la seconda diade, ripresa sotto marchio Philips). Anche la regia è dissacrante; borghesi di fine ottocento avidi, disumani, impotenti, sterili sessualmente e sentimentalmente. Veramente un “J’Accuse” a tutto campo.
Ma, incredibile a dirsi, tanto la versione Lp audio viene quasi massacrata nei cantanti quanto i video VHS, poi DVD, ultimamente ripuliti in Bluray, vengono esaltati per la potenza concettuale di una regia assolutamente geniale nella sua spietatezza. E certo, Gwyneth Jones come Brunnhilde e Donald McIntyre come Wotan si sognano lo squillo infinito della Nilsson, e i toni straziantemente dolenti di Hans Hotter. Ma come capacità attoriali, teatrali, sono davvero immensi in questo colossale “Cupio Dissolvi”, di questa creazione e di questa edizione comunque memorabile. Nonostante beccate, scandali, giudizi ferocemente conflittuali, bene fece la Polygram di allora (poi Universal Music) ad assicurarsi il grande Pierre. Ovviamente (intenditori pauca!) subendo le sue scelte, con poderosi bracci di ferro sul campo più biecamente commerciale.
Eccellenti rivisitazioni, tra il 1990 e il 2010, di tutto il grande Impressionismo ed Espressionismo, diversi titoli di Ligeti, Stockausen, Berio, Maderna, la musica da camera della Ensemble InterContemporain. I Viennesi Berg/Webern e Schonberg. Tutti Cd di valore altissimo.
Si riescono addirittura a strappare al maestro le ultime 2 sinfonie di Bruckner, Ottava e Nona (della prima una splendida edizione 1996 live, Wiener Philharmoniker!) e, mi si passi l’ironia, sia pure con i tempi e le orchestre scelte dal direttore, addirittura una bellissima Integrale di Gustav Mahler (come, del resto, sempre in Mahler, si impose Bernstein).
Altro che maestri che firmano a botte di integrali sinfonie e concerti, che poi lasciano il vuoto o quasi.
Dice bene Frank Zappa, estimatore di Boulez, e come lui provocatore. Intervista, di modesta qualità, 1984: negli States il successo e il Sistema lo fanno solo il numero di copie che si è riusciti a rifilare, ai “polli di batteria” della massa. Nessuna vera competenza, solo numeri. Quanti dischi fai, quante copie si vendono, quante tournèes!
E, chiudo, quello che dice Zappa, secondo me è la versione aggiornata di quello che diceva il grande Cecil B. De Mille già negli anni 20 e 30, per il cinema: “Il Successo? Mostrare nei film sesso e soldi, lussuria e lusso da sfascio”. Fosse rimasto solo negli U.S.A.!!!
Domenico Maria Morace.