obama- springsteen- Renegades, born in the usa

Springsteen e la nazione americana

Mentre scrivo sta per uscire nelle librerie “Renegades” , un libro intervista di Barack Obama e Bruce Springsteen in cui i due outsiders della società americana si raccontano, a partire dalle comuni radici operaie e dalla tenacia con cui hanno cercato, l’uno con l’impegno politico e l’altro con l’arte, di rimanere fedeli a quelle radici, anzi di dar voce al mondo di provenienza, nonostante le tentazioni del potere per il primo e del profitto per il secondo.

Se poi Obama abbia mantenuto del tutto o in parte le premesse della sua presidenza, se abbia costruito un mondo migliore, se abbia garantito giustizia, salute e istruzione al popolo americano, è questione che esula da questo articolo. E comunque pensiamo di sì, compatibilmente con gli attriti e le resistenze con cui la realtà frena i sogni degli uomini.

Ma qui non è di “Renegades” che vogliamo trattare, se non per il fatto che ci offre l’occasione per parlare di Michael Sandel, un filosofo americano che, sempre mentre scrivo, è in libreria con un altro libro: La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti, potente critica della retorica meritocratica che tiene banco nel dibattito americano e occidentale.

Obama e Bruce, secondo il mainstream ideologico che accomuna repubblicani e democratici, sono dei vincenti, due che ce l’hanno fatta ma - a differenza di altri vincenti - non hanno mai considerato il proprio successo una clava con cui picchiare il prossimo, per farlo sentirlo in colpa prima ed abbandonarlo alla sua sorte poi: piuttosto come un dono di cui sdebitarsi, un’occasione di servizio alla comunità, soprattutto ai più deboli, una restituzione di quello che forse hanno meritato, ma non del tutto, insomma. Perché il merito, come ci insegna Sandel, è il punto di confluenza in cui si incontrano destino e carattere, eredità, provenienza sociale, talento, educazione, facoltà personali, aiuti esterni e anche una discreta dose di fortuna.

Lasciamo stare Obama, adesso, e concentriamoci sulla musica. Sulla musica che si vende e che si compra. E che, entro certi limiti, è persino giusto vendere e comprare. Ma entro certi limiti, appunto.

I soldi possono acquistare tutto? Tutti, proprio tutti i beni e tutti i servizi, sono monetizzabili? Ecco la questione cui Sandel ha cercato di rispondere in un suo lavoro precedente (Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato).

Per Sandel alcuni beni, quelli dotati di un particolare status civile e morale, sono impagabili: pagandoli se ne corrompe infatti il significato, se ne tradisce la natura, se ne svaluta il fine.

Eppure la logica liberista, proprio quella che esalta il merito e ne fa una discriminante sociale, non conosce confini etici, mette in commercio beni e diritti come la vita, la salute e l’istruzione, e anche il diritto al piacere, al divertimento, al tempo libero. Da qui il mercato dei diritti, in cui fa la voce grossa chi, quei diritti, se li può comprare. E chi non può comprarseli?  Finisce per essere un cittadino di serie B, e anche per questo … un perdente, un vinto. 

Perché, ad esempio, un concerto finisce per costare così tanto da essere precluso alla maggior parte degli individui? Chi è che ne stabilisce il prezzo? E’ veramente la mano invisibile del mercato? O quella visibile delle multinazionali? L’artista non può, per ragioni morali, concorrere alla formazione del prezzo e, se non determinarlo, controllarlo e orientarlo?

Perdonate la lunga citazione ma merita di essere letta per intero perché è un piccolo saggio di filosofia morale, di grande e moderna filosofia morale.

Scrive Sandel: “Nel 2009 Bruce Springsteen tenne due concerti nel suo stato d’origine, il New Jersey. Fissò a 95 dollari il prezzo del biglietto più costoso … Recentemente i Rolling Stones hanno fatto pagare 450 dollari per i posti migliori nel loro tour di concerti. Gli economisti … hanno scoperto che, facendo pagare meno del prezzo di mercato, Springsteen quella sera ha rinunciato a circa quattro milioni di dollari. Quindi perché non fissare il prezzo di mercato? Per Springsteen, tenere relativamente accessibili i prezzi dei biglietti è un modo per rimanere fedele ai suoi fan della classe operaia. E’ anche un modo per esprimere un determinato modo di intendere i concerti. Sono una macchina per fare soldi, certamente, ma solo in parte. Sono anche momenti celebrativi il cui successo dipende dal carattere e dalla composizione della folla. Lo spettacolo non è costituito soltanto da canzoni ma anche dal rapporto tra l’artista e il proprio pubblico e dallo spirito che li tiene insieme”.

Immanuel Kant, cui Sandel fa spesso riferimento, diceva che “due cose riempiono l’animo di ammirazione … il cielo stellato che è sopra di me e la legge morale che è dentro di me”.

Devono essersi appellati alla legge morale, devono averle prestato qualche ascolto, uomini come Obama e come Springsteen nel fare quello che hanno fatto: nel governare con rettitudine l’uno, nello scrivere canzoni che parlano di umanità e solidarietà l’altro. Uomini così possono anche essere sfiorati dal desiderio del successo, possono anche cadere nelle tentazioni della popolarità, come tutti gli esseri imperfetti di questo mondo, ma subordinano l’io a una missione che si sono dati per essere se stessi, per assecondare le proprie ragioni e i propri valori, per sentirsi parte di un destino collettivo. E questo che fa di loro due apostati, due renegades. Quello che ci insegnano e che si può anche condividere, in linea di principio, il mito del self made man! Ma facendo se stesso, l’uomo fa anche un mondo comune, una nazione, partecipa anche al noi. E se fa cose giuste, se sta dalla parte giusta, rende più giusto quel mondo. Più armonioso, più musicale, in fondo.

Stefano Cazzato

Barack Obama, Bruce Springsteen- Renegades, Born in the USA- Garzanti 2021, 320 pp. 28 euro

 

 

 

 

 

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