intervista a giovanni falzone

"Pianeti affini"

Intervista a GIOVANNI FALZONE di Fabrizio Ciccarelli

 

Giovanni Falzone è sicuramente uno dei grandi innovatori nell’ambito delle Blue Notes italiane e non solo. Il suo vigore creativo, i suoi slanci emotivi e la sua riconoscibile abilità tecnica lo designano quale strumentista dotato di vertiginosa facilità ad intendere le innovazioni dei grandi maestri del jazz, in virtù di scelte originali (anzi, originalissime) che rendono conto di una cultura ampia ed eclettica, di una compostezza e di un’efficacia interpretativa chiara ed improntata a spontaneità e sensibilità figurativa.

Essenziale per ogni jazzofilo la sua discografia come Band Leader: “Music For Five” (Splasc(H) Records 2002), “Big Fracture” (Soul Note 2003), “Live In Clusone” (Soul Note 2003), “Earthquake Suite”( Soul Note 2004), “Suite For Bird” (Soul Note 2005), “Meeting In Paris” (Soul Note 2006),  “R-Evolutin Suite” (Soul Note 2007), “Stylus Q.” (Abeat Records 2008), “Around Jimi” (Cam Jazz 2010), “If Duo. Songs” (Abeat Records 2011), “Around Ornette” (Parco della Musica Record 2011), “Led Zeppelin Suite” (Musicamorfosi/Maccalube Records 2016), “Pianeti Affini” (Cam Jazz 2017).

Nel tempo della sua prestigiosa carriera ha anche alternato riflessioni circa la Classica (collaborando dal 1996 al 2004 con l'Orchestra Sinfonica di Milano ed avendo modo di suonare con direttori e solisti di fama internazionale come Giuseppe Sinopoli, Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, Riccardo Chailly, Yutaka Sado, Luciano Berio, Vladimir Jurowski, Valere Giergev) ed  il Rock (Led Zeppelin e Jimi Hendrix), dimostrando come Musica sia accogliere in toto ogni evoluzione dell’Arte.  

d.A mio avviso la temperie dell’Avanguardia ha da sempre distinto le sue scelte musicali: è per lei l’Avanguardia una scelta obbligata nell’ambito di ogni forma artistica?

r.Sinceramente non amo molto parlare di Avanguardia in quanto penso che si tratti solamente di un modo di concepire l’espressività all’interno del vastissimo mondo della musica creativa. Mi spiego meglio: ognuno di noi ha un background grossomodo differente. Io, per esempio, mi sono formato attraverso gli studi classici (a seguito dei quali ho poi avuto la possibilità di svolgere, per un decennio circa, la professione di professore d’orchestra. Questa esperienza ha fatto sì che la mia sensibilità venisse, in qualche modo, influenzata… ricordo ancora perfettamente la sensazione che si prova a stare seduto nel bel mezzo di una grande orchestra sinfonica quando il suono di una sinfonia di Mahler o di Stravinsky ti avvolge completamente… Ecco tutto questo, se hai una sensibilità ricettiva, non può lasciarti indifferente. Quindi, per tornare al termine avanguardia, il mio modo di concepire i progetti di jazz ha sempre tenuto conto di tutte queste esperienze che mi porto dentro. Con tutto quello che è stato fatto durante il XX Secolo al massimo preferisco parlare di “personale sintesi” attorno a quello che i veri giganti della musica sono stati capaci di lasciare all’umanità.

d.Il suo Jazz è da sempre improntato ad una profonda attrazione per il Visionario: in che rapporto colloca il suo sound così originale con gli artisti che sente (ed ha sentito) più vicini?

r.Si, sono sempre stato attratto dai Visionari… ed è per questo che probabilmente molto spesso vengo collocato in questa area. Sono molti gli artisti che sento e che ho sentito vicini… a partire da Louis Armstrong per arrivare a Tom Harrell passando per i cosiddetti “Giganti” Davis, Gillespie, Brown, Morgan, Hubbard (per rimanere in tema di trombettisti)… ma quelli che mi hanno affascinato (oltre ad Armstrong e Davis che rimangono all’apice della mia personale lista) sono perlopiù stati i cosiddetti “Visionari” Booker Little, Don Cherry, Don Ellis. Riuscire a raccontare una storia personale, seppur minuscola, è sempre stata una sorta di priorità che ho cercato di custodire con attenzione durante questi anni di attività compositiva ed esecutiva.

d.Una ricognizione circa la sua recente storia musicale: “Mosche elettriche” per Jimi Hendrix e la Contemporary Orchestra per i Led Zeppelin hanno stupito il pubblico delle Blue Notes, ma non sembra abbiano stupito lei…

r.Come avrà potuto notare chi mi segue fin dai primi progetti non è mai stato un problema per me esplorare diversi territori quindi il mio approccio nel concepire un progetto originale o nel “manipolare” Charlie Parker, Ornette Coleman o Jimi Hendrix rimane invariato. A me interessa la musica ma soprattutto l’approccio che si ha nel confrontarsi con questi giganti. Io ho sempre cercato di fare “tributo”, filtrando il tutto con le mie esperienze personali, al contributo che questi grandi musicisti mi hanno trasmesso… e i maggiori conoscitori del mio lavoro avranno notato che da “Music For Five” a “Pianeti Affini” esiste un filo conduttore! Chi si focalizza solo su Hendrix e Led Zeppelin, tralasciando tutto il resto, penso che abbia saltato delle tappe importanti per potersi fare una reale idea della mia visione della musica.

d.Poi nel 2011 ha deciso di dedicare la sua emozione a Ornette Coleman e nel 2015 a Woody Guthrie con “Tinissima 4et” di Francesco Bearzatti; c’è un nesso ideologico oltre alla passione per la Musica?

r.Posso rispondere per quanto riguarda Ornette Coleman dicendo che è stato uno dei musicisti, “Grande Visionario” per l’appunto, preferiti fin da sempre… basti pensare che la mia tesi per la laurea finale in Jazz al Conservatorio l’avevo fatta proprio su di Lui… e non su un trombettista come spesso accade. Infatti da quella tesi sono passati circa 10 anni prima di portare a compimento un “tributo” che rientrasse nella mia maniera di concepire tale argomento. Riguardo invece a Woody Guthrie non c’è alcun mio nesso ideologico… Tinissima è un quartetto, molto coeso e super riuscito che dura per questi importanti motivi da dieci anni… ma la guida e la scelta dei progetti, come è giusto che sia, rimane di Francesco Bearzatti. Grande fratello d’anima!

d.Il suo ultimo album è “Pianeti affini”: perché la scelta di questo titolo? Affinità diverse fra ambiti che possono (e devono) dialogare fra loro?

r.A questa domanda risponderò allegando le Liner Notes che ho scritto e inserito nell’album. Penso che rendano molto bene l’idea di cosa possa voler significare per me questo titolo: “Mi ha sempre incantato l'equilibrio perfetto tra i pianeti nell'immensità dell'universo. Questo mio nuovo lavoro musicale prende forma proprio da questa grande fascinazione, che in maniera spontanea ha trovato la genesi tramite la mia seconda grande passione, che è la pittura. Nel 2016 nasce l’opera pittorica “PIANETI AFFINI” e a seguito di questo primo dipinto è subito scaturito il desiderio di associare una serie di composizioni e sviluppare un’intera Suite attorno a questo argomento. L'obbiettivo principale fin da subito è stato quello di non voler fare un lavoro didascalico su ciascun pianeta ma bensì quello di creare un parallelismo tra le affinità cosmiche e le affinità necessarie che devono nascere all'interno di un gruppo musicale quando si accinge a registrare un progetto, creando cosi un microcosmo fatto di intesa, relazioni umane e creatività. A questo punto la parola "Affinità" diventa l’asse portante sul quale far ruotare i "Pianeti".Cosi, iniziando a lavorare sulle composizioni, ho voluto dedicare gli otto movimenti al mondo cosmico che ci avvolge e ci contiene, quello del sistema solare appunto: Terra, Sole, Luna - satellite fondamentale nei flussi vitali terreni - Marte e Venere – opposti e complementari - alla magia delle Stelle, al Mare ed infine alla Dimensione Oscura del nostro piccolo universo interiore”.

d.Credo che “Pianeti affini” sia l’annuncio della visione estetica del suo Jazz.. “Improvvisazione”, parola chiave delle Blue Notes, appare il fulcro del modernissimo percorso di questo album. Oltre ad un’abilità tecnica, al controllo delle armonie, alle variazioni strutturali, cos’ è veramente per lei l’improvvisazione?

r.L’improvvisazione, in super sintesi, per me è la capacità di creare dal nulla qualcosa senza necessariamente partire da un giro armonico o da una melodia di base…e fare in modo che ciò che si è appena creato diventi lo specchio e lo spettro della persona che crea. Esiste l’improvvisazione che si studia sui libri.. ed è quella che ha al suo interno delle regole ben precise che servono perlopiù a fornire i mezzi per avvicinarsi alle conoscenze principali di linguaggio, fraseggio etc… esiste invece poi l’improvvisazione che racconta storie molto diverse… l’improvvisazione più istintiva, più viscerale! Ecco, secondo me, un buon equilibrio tra le due cose è quello che ci vuole per muoversi al meglio all’interno di questo vastissimo e affascinantissimo mondo creativo.

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