intervista a marcelllo Rosa: l jazz è antimediocrità (fabriziociccarelli)

Intervista a Marcello Rosa : Il Jazz è antimediocrità.

Carattere deciso mai incline alla commercializzazione del Jazz, piglio creativo autonomo e molto riconoscibile, autore di primo piano, Marcello Rosa è uno dei più autorevoli testimoni delle blue notes che furono e che sono ancor oggi, come testimonia la sua ultima prova discografica da poco pubblicata da Alfa Music,”The World on a Slide”, un’interessante performance con diciannove amici trombonisti in omaggio alla genialità di Kid Ory e del miglior New Orleans, ad artisti del calibro di J.J. Johnson, Slide Hampton, Dino Piana, Frank Rosolino, Bob Brookmeyer, Kai Winding. Parliamone col Maestro. 

D.Com’è avvenuto il suo incontro con il jazz? 

R.Dopo sette anni di pianoforte e quattro di chitarra classica, fui sedotto dal suono del trombone. Quasi contemporaneamente a questa folgorazione ebbi la possibilità unica di poter

ascoltare dal vivo, nel giro di qualche mese, tre concerti dove i protagonisti erano, in ordine, Bill Harris, Trummy Young e Kid Ory, la storia del trombone jazz al contrario. Harris era infatti, all’epoca - parlo dei primi anni Cinquanta - indiscutibilmente il trombonista “moderno” di riferimento. Trummy Young era il rappresentante del main stream ed infine Kid Ory considerato il padre del trombone jazz.. L’agilità strumentale, avanzatissima per l’epoca, di Bill Harris, la potenza e lo swing di Young e l’elementare crudezza espressiva di Kid Ory mi fecero da guida aiutandomi ad infischiarmi tranquillamente delle deleterie diatribe tradizionale/moderno in voga aiutandomi, così, a sintetizzare un mio linguaggio privo di paletti stilistici…io suono alla mia maniera, se a qualcuno piace meglio così!
 Se vuoi padroneggiare una lingua devi conoscerne la sintassi e possibilmente anche i dialetti. 

D.Qual è il suo Cos’è jazz

R.“Mio” nel senso che piace a me suppongo…beh è quello che mi sorprende, mi incuriosisce, e magari mi “spiazza” ma che non mi annoia. Posso trovare insopportabili certe cose di Miles Davis o di King Oliver e posso entusiasmarmi con un Red Allen o quella fulgida meteora che fu Don Ellis (rimanendo nella categoria trombe). Ellis, guarda caso, era un ammiratore di Allen. 

D.In quale modo considera la sua carriera e quali sono state, a suo parere, le iniziative che l’hanno maggiormente contraddistinta?

R.Quando decisi temerariamente che il jazz sarebbe stata la “mia” musica, sapevo benissimo i pericoli che avrei dovuto affrontare, nel senso che se andava male ne sarebbe comunque valsa la pena. Riguardo la carriera, non l’ho mai fatta, anche se di soddisfazioni superiori a qualsiasi rosea aspettativa ne ho avute parecchie. Comunque sono settant’anni che vado avanti così e non demordo…chissà forse in futuro…

D.Ha suonato con i più grandi jazzisti: quale ricorda con particolare piacere e con chi, fra quelli che stima, le sarebbe piaciuto suonare?

R.Con Lionel Hampton, che era stato ospite della mia Swinging Dance Band al Piper di Roma nel febbraio del ’68 e che mi prenotò seduta stante per una tournee estiva di una ventina di concerti organizzati dall’impresario Pier Quinto Carriagi (marito di Lara Saint Paul) presente alla serata. Debuttammo a San Marino poi risalimmo la riviera adriatica, un salto in svizzera (Ascona e Lugano) poi San Remo e riviera tirrenica. Al Rouf Garden del casinò di San Remo riscuotemmo un tale successo che il sindaco volle regalare al pubblico un concerto gratuito in piazza il giorno dopo (che sarebbe stato il nostro giorno di riposo e non lo fu). L’orchestra fissa del casinò che fece da apripista allo show di Hampton comprendeva il trombettista Astore Pittana, un grande specialista del registro acuto; Hampton ne fu talmente impressionato da fargli una corte serrata tutta la serata perché voleva assolutamente portarselo via. Un altro grandissimo Maestro, Amico e Collega fu Tony Scott che ho avuto la fortuna di frequentare per circa trent’anni. Tony fu ospite del mio primo show televisivo Jazzapoppin’ (1971) con una versione da brivido del suo Blues for Charlie Parker. Strano che non l’abbiano mai replicato! Comunque per chiudere non posso dimenticare la simpatia dimostratami da Maestri come Canfora, Ferrio, Luttazzi, Morricone, Piovani, Trovajoli ed Umiliani che dimostrarono di apprezzare la mia padronanza del linguaggio jazzistico. 

D.Unire l’ispirazione classica a quella jazzistica è cosa che le riesce molto bene; quali sono i motivi che l’hanno spinta a compiere tale non facile scelta, e, inoltre, crede che siano in molti a seguire il suo esempio?

R.Qualsiasi ispirazione è benvenuta nel campo della creatività…a me piace per esempio da matti suonare tutte le mattine per scaldarmi il labbro l’Ave Maria di Schubert (non l’ho fatto mai in pubblico).

D.Com’è cambiato il jazz dall’inizio della sua attività ad oggi?

R.Il jazz non è cambiato nella sua essenza: continuerà, come ha sempre fatto, a suscitare entusiasmo o fastidio senza smettere di rinnovarsi. Una volta si diceva “il jazz non passerà mai di moda perché non è una moda: è una filosofia di vita.” E’ proprio così, anche se oggi, per ragioni biecamente commerciali, si tende a mischiarlo con altri generi. Personalmente trovo queste operazioni di uno squallore infinito ma anche pericolose perché causano malintesi…oggi tutto è jazz, tutto è blues, tutto è swing…in compenso il pubblico continua ad andare fuori tempo quando tenta di battere le mani a tempo o a squadrare quando intona, si fa per dire, quel deprimente inno che ci rappresenta.Il  problema del jazz in voga oggi - non di tutto per fortuna, parlo di quello appoggiato incondizionatamente dalla intellighentia (che è così diversa dai principi che l’avevano generata) - è che sta ripercorrendo, cento anni dopo, l’involuzione accademica dell’altra musica basandosi e speculando troppo spesso su formule falsamente popolaresco-retorico-dissacranti tali da generare sconcerto e noia. Non è un caso che i campioni di questo genere così a là page siano musicisti che disdegnano lo swing e le blue notes perchè sono cose che non “sentono” intimamente e di conseguenza non frequentano…una volta c’era un entusiasmo ingenuo ma sincero, oggi il jazz è troppo spesso l’obiettivo di fuorvianti arrampicate socialmente scorrette

D.Come nasce il suo “The world on a slide” e com’è avvenuta la scelta dei musicisti?

R.Tutto nasce da un profondo desiderio che mi accompagna da molto tempo. Ho sempre voluto incidere un disco di soli e tanti tromboni. Tante coincidenze…la generosa pazzia dei miei amici ha reso possibile questa impresa titanica.

D.Dovesse dare dei consigli ai giovani jazzisti, quali ritiene l’essenziale che essi dovrebbero cercare?

R.Ascoltare (e riascoltare) i dischi dei Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton (quelli del 1926 in particolare). Chiave indispensabile per accedere ai tesori futuri! 

D.Come immagina il futuro della musica ed in particolare delle Blue Notes?

R.Le blue notes sono un vaccino anti-mediocrità.

Fabrizio Ciccarelli

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