Greg Burk’s Solar Sound feat.Rob Mazurek

Casa del Jazz, Roma 4.7.2017

L’odore di chiuso, stantio di sudore; quello delle sale prove, degli scantinati, della musica che cerca di nascere, liberamente, senza una partitura definita, magari solo da uno spunto iniziale, lasciandosi poi influenzare dagli stati d’animo dei musicisti che prendono parte al momento: sperimentando, inseguendosi in percorsi poco chiari, secondo logiche apparentemente distorte, dissonanti, difficilmente comprensibili dall’ ascoltatore di passaggio.

E poi, come per magia, tutto questo rincorrersi, a volte scontrarsi, tutto questo girarsi e rigirarsi prende una forma più definita, finalmente condivisa: ecco che la libera improvvisazione collettiva diviene un episodio musicale, un unicum difficilmente ripetibile (a meno che non lo si stia registrando) e ancora più difficilmente codificabile secondo le regole della scrittura e del solfeggio.

Sono queste le sensazioni che restituisce il concerto tenuto dal Greg Burk’s Solar Sound nell’ambito di Summertime 2017, rassegna estiva della Casa del Jazz. Il progetto sonoro si ispira dichiaratamente a John Tchicai, sassofonista danese con cui i membri del collettivo avevano già collaborato nel Lunar Quartet; molto prima della sua scomparsa avvenuta nel 2012, Tchicai era stato al centro della rivoluzione free di metà anni 60 in gruppi come i New York Contemporary Five di Archie Shepp, e, nel clima di sperimentazione tipico di quegli anni, riuscì a suonare sia con John Coltrane che John Lennon.

Dalla luna al sole, dunque; e ancora più in là, perché i viaggi del Greg Burk’s Solar Sound ricordano, nel nome così come nel suono, quelli intergalattici realizzati da Sun Ra: un Free Jazz che si sviluppa da partiture scritte, con un approccio che non è mai eccessivamente drammatico e che anzi predilige una vena sperimentale a tratti anche giocosa e irridente. Rob Manzurek, special guest del gruppo, ne è interprete esemplare sia con la piccolo trumpet che tramite contributi vocali, di sound design e percussivi filtrati con elettronica e reiterati tramite loop station; l’apporto del trombettista di Chicago non si esaurisce qui, dal momento che firma il brano migliore della serata: un lento profondamente lirico in cui la sua cornetta si sovrappone al Moog con sonorità in stile The Dark Side of The Moon, e che si chiude con un intenso assolo di contrabbasso suonato con l’archetto da Marc Abrams. Il contrabbassista è a sua volta l’autore di un altro episodio degno di nota, un brano in 7/8 con soli di tromba e piano che si sviluppano in 6/8. Al centro del sistema solare, il piano e i sintetizzatori del band leader, Greg Burk, musicista e compositore di Detroit con origini e assidue frequentazioni italiane, che annovera prestigiose collaborazioni (Kenny Wheeler, Steve Swallow, Bob Moses, Dave Leibman, Sam Rivers, Rufus Reid, Paul Bley, oltre al già citato John Tchicai) e docenze in college e scuole specializzate. Il sole è il filo conduttore di tutti i brani composti dal pianista: il percorso dei neutrini dal centro della stella alla sua superficie ispira The Randon Walk, le forme d’onda che vi si generano informano il terzo brano, molto sperimentale, del set; e sono sempre i raggi solari a nutrire la fotosintesi clorofilliana di Sequoia Song, brano in 9/8 con sfumature che finiscono addirittura per rasentare il romanticismo. Enzo Carpentieri è molto efficace nel supportare il combo con un drumming che, a seconda delle circostanze, si fa funky, serrato, swing,  capace altresì di scansioni world e afro beat. 

Il concerto del Greg Burk’s Solar Sound coinvolge e convince a tratti, dimostrando di tanto in tanto dei cali di tensione espressiva. Parte del pubblico non sembra essere abbastanza preparato per i viaggi sperimentali del combo, alcuni sciamano via prima della fine. E’ però da annotare che i 4 avrebbero dovuto suonare per metà del tempo e non per l’intera serata, che prevedeva anche il progetto “OverDOORS” di Luca Aquino; purtroppo il trombettista campano non ha potuto essere presente a causa di un infortunio. L’impressione è che i musicisti fossero predisposti mentalmente a un concerto dalla durata minore, e che ciò abbia influito negativamente sulla performance: come a dire che anche l’improvvisazione più libera, sperimentale, collettiva e fuori dagli schemi, per risuonare nel migliore dei modi, ha comunque bisogno di essere adeguatamente preparata in precedenza.

Antonio Catalano

Greg Burk pianoforte, moog

Rob Mazurek tromba

Marc Abrams basso

Enzo Carpentieri batteria

 

 

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