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Tia Fuller, Diamond Cut, Mack Avenue 2018  (distribuzione Egea)

A sei anni dalla pubblicazione del suo “Angelic Warrior” la sassofonista Tia Fuller, molto conosciuta come altoista della band tutta femminile di Beyoncé e come docente alla “Berklee College of Music”, trova in parte la nostra simpatia per il suo ultimo album Diamond Cut, nel quale (ciò che salta subito agli occhi leggendo il line up) riesce a comporre due eccellenti sezioni ritmiche: Dave Holland e Jack DeJohnette (pietre miliari del Jazz moderno) e James Genus e Bill Stewart (performers abilissimi soprattutto nell’ambito delle Blue Notes contemporanee). 

A dir la verità, ci si stupisce non poco circa la partecipazione di tali artisti di fama mondiale, noti per gli interessanti ed insoliti ambiti sperimentali in cui hanno profuso energie decennali con esiti comunque non sempre esaltanti ma pur sempre più che degni d’attenzione, non sempre essenziali ai non pochi spazi easy della Fuller. 

In alcuni brani, per così dire “pleonastici”, viaggia una fusion tra post bop e Jazz Funk pur piacevole, accattivante, rilassante, ma sicuramente non oltre ciò che si aspetta da tantissime realizzazioni discografiche americane dedicate ai fans degli Spyro Gyra, di Grover Washington Jr., David Sanborn, Bob James e dintorni: uno Smooth ben suonato, insomma, seguente a certo “riflusso” tipico dei tardi anni 80 stanchi delle Filippiche Free e delle Catilinarie Punk ed Electro Rock, amatissimo dai frequentatori radical-chic di cocktail party e wine bar (tradurre in Italiano non sarebbe gentile: “fighetti da osteria di moda”). 

Eppure, sempre a dir la verità, il Segno dei Tempi di Diamond Cut, così come le piramidi nell’era egizia e gli emicicli teatrali nelle poleis elleniche e le tante Arcadie tra Seicento e Settecento, diverte, affabula, suscita sorrisi, e può accompagnarci gradevolmente, sicuri di non imbatterci in spiacevoli incidenze ma anche certi di assistere ad una performance nel complesso troppo disomogenea, sbilanciata in quanto a stile e coerenza narrativa, eppur segnalata (e non ne intendiamo il motivo) per i Grammy Award For Best Jazz Instrumental Album del 2018.   

Personalmente confesso che in definitiva è un disco che ho ascoltato abbastanza volentieri, apprezzando a volte la giustezza dei Soli e le congiunzioni cromatiche di arrangiamenti nel complesso osservati con un corposa miopia dalla produttrice Terri Lyne Carrington, una che comunque di Armonie e Colori strumentali se intende ed alla quale piacerebbe chiedere come mai non abbia fatto a meno di approvare certe leggerezze francamente evitabili, vista l’intelligenza musicale della Nostra.  

Vigoroso e modernista l’Incipit di In The Trenches, un brano che pone in evidenza tutta la forte personalità della sassofonista in stordente connubio con la chitarra educata e fluente di Adam Rogers (davvero un bel jazz nei suoi registri morbidi e siderali), personalità poi edulcorata dalle garbate (ma non oltre) ballads Save Your Love For Me e Crowns of Grey e dal Cantabile moderato di I Love You e Queen Intuition, dalla spiazzante disomogeneità di Joe’N Around ai confini di una voluta disorganizzazione linguistica e atonale che lascia intendere quanto Tina Fuller possa creare di ingegnoso Contemporaneo qualora si lasci andare all’antidoto dell’Invenzione, del libero passo verso le scorribande tonali che sembrano meglio descrivere la sua sensibilità ed il suo reale potenziale istintivo e comunicativo. 

Credo che ogni musicista debba render chiare le proprie Idee a chi ascolta soprattutto quando abbia evidente talento e visioni nuove da dare: ma, in questo caso, Tina Fuller fa veramente poco per lasciarcele intendere…   

Fabrizio Ciccarelli 

Tia Fuller: saxophones; Adam Rogers: guitar; James Genus: bass; Bill Stewart: drums; Terri Lyne Carrington: percussion (7, 8); Sam Yahel: organ (2, 7); Jack DeJohnette: drums (4, 5, 7-9); Dave Holland, bass (4, 5, 7-9, 11).

Track Listing: The Trenches; Save Your Love For Me; I Love You; Queen Intuition; Joe’n Around; Crowns Of Grey; The Coming; Soul Eyes; Delight; Fury Of Da’Mond; Tears Of Santa Barbara; Joe’n Around (Alternate Take).

 

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