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John McLaughlin, Liberation time, Abstract Logix, 2021

Le riflessioni durante il lockdown di uno dei massimi interpreti delle nuove tendenze a partire dagli anni 70: John McLaughlin compone ed intreccia sette brani che, alla vigilia dei suoi 80 anni, segnano la sua filosofia musicale con scelte che possiamo considerare definitive, se è vero che nelle opere “mature” qualunque autore esprima la visione globale, “testamentale”, delle proprie esperienze. Il titolo Liberation Time allude chiaramente ad una speranza di liberazione sia dal virus cinese che ad una librarsi dell’anima in dimensioni contemplative e in quello spiritualismo che da più di 50 anni accompagna mente e cuore del chitarrista del South Yorkshire.

Il Mahavishnu, come volle chiamarsi dai primi anni Settanta, mantiene intatta la sua passione per la Fusion, per i Suoni Rock jazzati, per quella spiritualità buddista che da cinquanta anni distingue la sua considerevolissima produzione discografica, per quell’ampia cultura che, da sempre aperta alla Classica e all’Etnica, ha decisamente segnato una stagione importante, importantissima, dell’Alternative Sound con i suoi più noti album, a partire da “Extrapolation” del 1969 e “Devotion” del 1970 fino al “Plays Bill Evans” del 1993, al “Montreux Concert” del 2003 ed al “Black Light” del 2015, passando per le magnifiche prove con Miles Davis in tre album-pietre miliari dei primi anni 70 “In a silent way”, “Bitches Brew” e “On the Corner”, con la Mahavishnu Orchestra di “Birds of fire” e  “Between Nothingness & Eternity”, all’interessante sodalizio con Carlo Santana in “Love Devotion Surrender” (tutti e tre del 1973),  al celeberrimo trio per tre chitarre acustiche con Al Di Meola e Paco De Lucia di “Friday Night in San Francisco” del 1981, da molti considerato come una delle migliori jam session di tutti i tempi, alle collaborazione negli anni 80 con la London Symphony Orchestra.

Del resto la scelta di variare dalla chitarra Gibson alla Fender Mustang può spiegare il suo spirito di ricerca, comunque fedele ad una coerenza artistica che ha sempre inteso privilegiare in egual misura Jazz, Rock e musica indiana, Meltin’ Pot che a tutt’oggi trova pochi comprimari.

John McLauglin suona ancora con indubbia passione, con una tecnica cristallina e con una personalissima abilità nell’improvvisazione che ci convince a considerarlo come uno dei maggiori chitarristi di tutti i tempi, sofisticato e allo stesso tempo insolente, “rasoiante” in un virtuosismo molto concentrato, incline alla grande energia con la quale espone sottigliezze melodiche condivise negli energici dialoghi col sax tenore di Julian Siegel e con una ritmica che vede in primo piano Vinnie Colaiuta (protagonista con Frank Zappa, Joni Mitchell, Chick Corea, Herbie Hancock, George Duke, Mike Stern e tanti altri). Tale intensità del resto la ritroviamo nei suoi concerti più recenti in Inghilterra e negli Stati Uniti ai quali abbiamo assistito in diretta web, accese performances con il suo Quartetto “ The 4th Dimension” (Ranjit Barot alla batteria, Etienne Mbappe al basso e Gary Husband al piano, ovviamente presenti anche in questa ultima incisione edita da una casa discografica molto attenta alle nuove tendenze in ambito etno-fusion). 

Ci si chiede sempre quali siano i brani più rappresentativi di un album accolto (e non solo dal sottoscritto) con grande entusiasmo dai musicofili e con grande attenzione da parte della critica internazionale; e chi scrive non vuole sottrarsi a questa inevitabile esigenza, poiché sbilanciarsi non è mai un peccato di presunzione, bensì la risposta immediata a quanto la Musica agita nelle nostre sinapsi cerebrali e soprattutto nelle nostre extrasistole atriali, come nel vorticoso magnetico e acido di As the Spirit Sings, nell’indimenticato colore jazzistico del trio in Singing our secret (pardon: in quartetto…ma è un lapsus freudiano: ascoltate e probabilmente ne intuirete facilmente il motivo), nell’esplosivo Funk di Lockdown Blues dimensionato dai registri e dalla fluidità del fraseggio chitarristico, dall’avvolgente slapping del basso di Etienne Mbappe e dal batterista Ranjit Barot nel Konnakol dello stile Carnatico Indiano saldamente legato alla tradizione religiosa in forme vocali nelle quali l’improvvisazione ha un ruolo fondamentale (il “canto del respiro” giocato, per capirci,  nel suggestivo “tagatà” in controtempo reso famoso nel Festival di Woodstock del 1969 dalle strutture musicali dei “raga” dei vocalist e dalle percussioni tabla che accompagnavano il sitar di Ravi Shankar), come nell’Hard Bop verticale del sax ustionante di Julian Siegel, del piano di Roger Rossignol  e nel tipico mood Jazz Rock dello Shakti McLaughlin in Right Here o (inaspettate ma non troppo, tenuto conto della cultura classica di John McLaughlin) nelle dimensioni notturne e intimiste del piano solo tra Chopin e Ravel di Mila Repa (il mistico poeta tibetano, uno dei principali maestri del buddismo, ispiratore di ottimi film [ricordiamo innanzitutto quello di Liliana Cavani del 1974] e di tanti dischi New Age, a testimonianza di una devozione incrollabile e assoluta.

Come ritengo possa esser chiaro, parliamo di un album eclettico e denso di Idee diverse e mai incoerenti, esattamente come è sempre giusto per dare le giuste misure ad una creatività emotiva ed illogica – del resto cos’altro è la Creatività?

Fabrizio Ciccarelli

John McLaughlin Guitar / Guitar synth / Piano

Roger Rossignol Piano

Ranjit Barot Drums / Konokol

Jean Michel. ‘Kiki’ Aublette Drums / Bass

Vinnie Colaiuta Drums

Nicolas Viccaro Drums

Julian Siegel Tenor Sax

Etienne MBappe Bass

Gary Husband Drums / Piano

Sam Burgess Bass

Jerome Regard Bass

Oz Ezzeldin Piano

Tracklist:

As the Spirit Sings 05:21

Singing our Secrets 05:05

Lockdown Blues 07:13

Mila Repa 02:28

Right Here, Right Now, Right On 07:22

Shade of Blue 01:37

Liberation Time 07:49

# In ascolto su

https://music.youtube.com/watch?v=aQcMI7MfLD4&list=OLAK5uy_lEpla5VgTxYbAAVyWy4bqwrdFVszFyqRA

 

 

 

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